Il sarto e la telegrafista

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Il carpintero e l’odalisca. 26 – La vetrina – il vestito – mezzi uomini – sarto, intellettuale, gentiluomo – a letto con una sconosciuta – i gangsters – milongueras – la telegrafista – le altre – non sono parole – nessuna guerra per Troia.

… non sono di pietra.
Forse amianto…?

La vetrina

Ogni giorno ci passiamo davanti. La stessa vetrina, tre quadras da casa. A dire il vero non sempre. La combinazione del nostro tragitto a piedi fino in centro non è mai identica. Cambiamo in maniera automatica, autistica: ci facciamo guidare dall’istinto inconscio che si sostituisce temporaneamente alla ragione. La nostra meta è sempre la stessa: la caffetteria gelateria di Bastiano, dove ci sentiamo accolti e benvenuti: una specie di seconda casa – esente da Imu.

– Venite dall’Italia?
– Siamo italiani…
– Mi dovete scusare, sentire parlare italiano senza la nostra cadenza mi emoziona sempre… Vorrei presentarmi… Vincenzo… Vi ho visto spesso qui da Bastiano…

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L’abitudine e la familiarità con i luoghi di questo barrio mi spingono a credere che il laboratorio del sarto sia un check-point quotidiano obbligato, anche se così non è. All’interno la luce è tenue. Da fuori attraverso l’ampia vetrata, nonostante un fastidioso riflesso, si intravede la stanza d’ingresso: spaziosa, ordinata, vissuta, calda… Le pareti e le tappezzerie, con sfumature diverse, tendono ad un colore che chiamano carta da zucchero. Ignoro l’origine di questa definizione.

Il vestito

In mostra un vestito da uomo di fattura sartoriale, tagliato e cucito con dovizia e maestria artigianale. Le mostrine della giacca non sono larghe, non sono strette. Le tasche ai lati sono prive di patelle: non servono. È a due bottoni, andrebbe bene anche uno oppure tre, non di più: il numero di bottoni non conta…, conta la mano che ha usato prima il gesso bianco sulla stoffa, poi le forbici.

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Due occhi chiari

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28.2 – Un modo dissimile – gente per bene – melodia e ritmo – cadono e volano – voce antica – un oceano di pelo nero – provvidenziale dissetata – a passo d’uomo – tre taglie più piccola – senza alcuna convinzione.

Mi ricorderò ogni attimo per un bel po’… credo…
Meglio dimenticare…

Terzo viaggio.

Febbraio 2013. L’estate, quella di Baires è un’altra cosa. Esattamente non saprei… cosa. So che l’aria è diversa, altri colori, sarà la cadenza del tempo, forse le ore durano più a lungo. Anche le persone si muovono in un modo dissimile… dal nostro. Più resto da queste parti e più a lungo ci resterei.

Bernal, il mio barrio, dove soggiorno quando mi trovo a Baires, è un posto tranquillo, il Rio è a qualche chilometro e la gente che vi abita e che ho avuto modo di conoscere è sempre cordiale e premurosa. Da noi si direbbe: gente per bene.

Lo status di turista che mi porto dietro come marchio indelebile, mi rende accettabile ben oltre le aspettative. Qui sono io ad essere esotico e come tale dò agli altri senza alcuno sforzo, il motivo di tante attenzioni nei miei riguardi.

Capplegnami_Baires_Bernal_Studio

Ogni mattina mezz’ora di running: trentotto quadras. Non è tanto: è abbastanza. Non sono mai le stesse, variare il percorso senza uscire dal mio territorio è semplice. Da noi non sarebbe possibile per via di un diverso approccio al concetto di urbanistica. Fa già caldo e si suda parecchio.

Uso lo shuffle di prima generazione: solo tangos e qualche valsencitos. Niente milongas né candombe, il loro compas non si adatta alla frequenza delle mie falcate. Ho scelto con cura i brani: melodia e ritmo, devono esserci entrambi, altrimenti sono scartati. Correre è come ballare. Senza melodia si balla male, idem senza ritmo. La prima accresce la passionalità. Il secondo aiuta a tenere il tempo. I musicalizadores che non prestano attenzione a questa regola elementare sono idioti.

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