Gli occhiali dell’odalisca

Capplegnami_Baires_Peatones

Il carpintero e l’odalisca. 31 – Solo andata – A ripetizione – Tango rottura – Un paio di occhiali – In buona compagnia – L’acqua calda – Fra Recoleta e Palermo – Vita vissuta.

Non lo so.
Devi sempre sapere più di me!

Solo andata

– Come state?
– Sto bene. Io.
– E Amedeo…?
– Se n’è andato.
– Dove?
– Quien sabe…
– Quando torna?
– Non tornerà.
– E la casa bianca? Bernal?
– Per ora è rimasta sola… diciamo orfana. Bernal farà a meno di lui, come è sempre stato.
– Tu tornerai? Rivedrò almeno te?
– Forse… poco probabile. Se sarà, sarà per poco. È presto per dirlo. Dimmi di te. Come mai ti sei fatto vivo? Scommetto che ci sono novità? Que pasa?

– Volevo sentirti… gli amici ogni tanto si sentono.
– Non è da te carpintero, tu non sei un amico come gli altri.
– Ho sognato, ho fatto dei sogni.
– È normale, capita anche a me. A chiunque capita.
– Questa volta è stato diverso. Qualcosa stava per succedere. Non qui. È successo da voi, me lo hai appena confermato.
– I sogni non macinano, sono come l’acqua che corre via. Le coincidenze sono all’ordine del giorno. La loro frequenza è più alta di quanto non si pensi. Sono ricorrenti come i vincitori settimanali alle estrazioni.

– Il tuo populismo è senza antidoto. Quando ti ci metti… non c’è scampo… per nessuno.
– Ti conosco abbastanza e più il tempo passa, maggiore è la certezza che il tuo essere prevedibile prenda il sopravvento su tutto il resto. Tu chiami quando hai qualcosa da raccontare… da chiedere… da confidare…, da supplicare…, scemenze sentimentali, tiri di testa, incubi o semplicemente indefessa solitudine. O il maledetto lavoro. Niente è per niente.
– È solo un’impressione, mi pare di sentirti vanamente alterato. Ne avrai ben motivo, di certo non può essere la mia chiamata. Non voglio entrarci. Se e quando ne vorrai parlare, ci entrerò.
– Vanamente? Che cavolo stai…?
– Nel senso di inutilmente. Novantanove su cento, darsi pena per qualunque cosa o chiunque è inutile. Vano, per l’appunto.

Capplegnami_Baires_Cordoba

A ripetizione

– Andiamo oltre. Di che cosa si tratta questa volta? Le mie orecchie sono pulite e ben orientate. Il mio tempo è a disposizione, per te potrei mettermi in sciopero da tutto e da tutti. Parla! Per l’amor del cielo, non farti desiderare come è tuo solito, sai che non lo sopporto.
– Se è così che la metti, ti accontento subito. Avevo in mente di raccontarti per prima cosa di un paio di occhiali, poi di una (gran) serata al verde, di una febbre a trentotto e di alcune donne.
– Vedi… avevo ragione.
– Invece hai torto. Ti sto solo venendo incontro, mi conviene, non hai l’umore giusto per essere contraddetto. Sto inventando di sana pianta. Improvviso. Mi succede anche quando ho davanti una sedia sfasciata o un mobile sfondato e non so da dove cominciare. Le alternative sono: mettersi le mani nei capelli o tentare qualcosa… improvvisare appunto. Così faccio, così sto facendo.

– Occhiali…? Donne… ancora donne? Una serata… di tango, suppongo? Chi era con la febbre?
– Io, me.
– Non ne hai abbastanza di queste occasioni dove ogni gesto, ogni comportamento, può allo stesso tempo, deliziarti o riempirti del tedio più stucchevole?
– Avevo pagato in anticipo, non potevo tirarmi indietro, avrei perso dei soldi.
– I soldi sono tutto… certo, ma pochi soldi sono niente.
– Pensa per te.

E se il momento fosse quello giusto? Nel senso di dilatare…, rallentare…, evitare…? Caro amico falegname hai mai pensato alla monotonia ripetitiva, all’inconscia compulsione, dei tuoi gesti, delle cose che fai?
– Certo che ci ho pensato. E non vi ho trovato nulla di sbagliato.
– Per assurdo potresti morire ora senza provare rimpianti. Quello che c’era da fare lo hai fatto. Non fai che rifare. Sei un rifacimento.
– Dove vuoi andare a parare? Se qualcuno ci sentisse adesso, proverebbe compassione!
– Non agitarti, ti sto provocando, non te ne sei accorto? Quando ci siamo conosciuti sembravi più sveglio, mas rapido. Voglio dire…, replicare all’infinito le stesse cose, simulando disinvoltura e noncuranza, ti può ancora bastare? L’insoddisfazione ti avrà sfiorato immagino?
– Come per tutti, ogni giorno. E allora? È la norma. Assolutamente nella norma.

Capplegnami_Baires_Esmeralda

Continua a leggere

L’armadio dell’odalisca

Capplegnami_Baires_Enrique_Santos_Discepolo

Il carpintero e l’odalisca. 30 – Uno pseudo viaggio – Un mucchio di donne – Uno pseudo incontro – L’armadio immaginato dell’Odalisca – Il tango è donna – Piacere fisico.

Posso…?
Non farmi niente…!

Uno pseudo viaggio

– Ho intenzione di andare.
– Quando?
– Al massimo entro due tre settimane. Se vuoi venire devi decidere in fretta.
Lo sguardo di Amedeo era determinato, allucinato, pericoloso. Gli capita di rado e quando succede non c’è verso che torni sui suoi passi. Il suo cervello ingombro e affastellato ha già deciso. Amedeo è schiavo del suo cervello. La sua mente decide senza ascoltare le altre parti del corpo a cui non resta che eseguire rassegnate e controvoglia. È sempre stato così: un cervello troppo potente in un corpo troppo debole.

Alla fine, dopo pochi minuti di ricognizione su presente e futuro, anche il possibile secondo viaggio dello scorso anno non si è fatto. Allo stesso modo del primo fra gennaio e febbraio, è rimasto un tentativo di… viaggio, un simulacro di una realtà che si è esaurita. La mezza proposta di andarsene in quell’insolito periodo – primavera a Baires – non ha avuto seguito. Non c’erano i presupposti. Amen.

Amedeo imperturbabile ha trovato la mattinata giusta. Quel giorno il sito Iberia dava ai fortunati che si collegavano una chance imperdibile: poco più, poco meno, di settecentocinquanta euro. Presa al volo… è proprio il caso di dirlo.
Andata e ritorno, Ida y vuelta, un mese meno un giorno, più di quanto servisse, ma andava benissimo come scusa per starsene lontano, lontani, dove il mondo non è uguale, la vita è diversa e l’aria è sempre in movimento…, pur non essendo migliore: Baires… ovviamente, sempre lei la meta, il sogno ricorrente, il posto dove stare senza pensieri, senza pensare. Almeno per chi arriva dall’altra parte del mare.

Lui assieme al suo fastidioso carattere sarebbe partito… Marco Polo, Barajas, Ezeiza, Bernal. Io sarei andato con lui…
A parole, con la testa, solo con quella senza il resto, immaginando giorno dopo giorno, per un mese meno un giorno, di fare quello che avrei fatto se avessi volato sul serio, sopra quello specchio di colore simil ocra, il colore del leon, che si vede guardando sotto, dopo aver sorvolato l’Uruguay: il Rio, il grande Rio così simbolico, così presente, così contaminato e orrendamente umiliato durante gli anni della follia civile.

Capplegnami_Baires_Alfredo_Le_Pera

Continua a leggere

A tu per tu con l’odalisca

Capplegnami_Baires_Ada_Falcon

Il carpintero e l’odalisca. 29 – Viaggio in Italia – Marco Polo – A tu per tu – Una mirada ossessiva – Di larghe vedute.

Addormentato… sul divano…
Ora tisana “benedettina”…. un po’ di miele e tanto limone…

Viaggio in Italia

Baires non è dimenticabile. Non si può dimenticare. Quest’anno niente viaggio, nessuno scalo a Barajas.
Ezeiza la porta dal cielo di Baires resterà lontana, irraggiungibile. Meglio non pensare a Baires… inutile e controproducente, ti mette in una condizione di pseudo astinenza facendo sembrare precari e stentati i momenti del giorno e della notte.

Di rado sento Giordano, il mio amico falegname di Bernal. Stranamente si è fatto prendere dal lavoro che, a suo dire, ha cominciato ad amare: – in mancanza di altro si può amare anche il proprio lavoro – così, mi ha rivelato con inconsueto disincanto, l’ultima volta che ci siamo sentiti. Una specie di seduzione posticcia, generata più dal bisogno che dal piacere.

Stento a credere, non gli credo, lo conosco, non sarebbe capace di tanto. Ha  conosciuto una persona, una donna… ecco il vero motivo, altro che lavoro. So poche cose di questa lei. È stato parco nel raccontarmi…, non è da lui: – è successo senza cercare, per pura combinazione -.
Ha annacquato la sua dedizione al tango. È evidente che questa persona non è una milonguera… altrimenti… così non sarebbe.

Capplegnami_Baires_Armando_Moreno

Gli ho scritto alcune volte. Rare le risposte e sempre a scusarsi per non aver dato attenzione alle precedenti. Ho perso un amico, questo penso. La distanza non si riempie con le emails, gli sms, Viber, ecc. La lontananza è come il tempo: prima o poi le abitudini prevalgono, i contorni si sfaldano, restano solamente i colori mescolati fra loro, a rendere sfumata e indistinguibile ogni cosa.

Continua a leggere

Un invito per errore

Il carpintero e l’odalisca. 07 – molla il tango – tandas da quattro – scusa come balli? – la discarica dei ricordi – correggetemi se sbaglio – prima che ci possa ripensare – Butch Cassidy – Per pietà o amicizia – milongas inascoltabili ed imballabili – no problem – fave di cacao amare tostate – ballare, al meglio.

Non so come fare?
A fare cosa?

– È pronto…, a tavola.

– Non mi davo pace, quattro tandas sprecate: non riuscivo a trovare l’attimo per invitarla. C’era sempre qualcuno più veloce che si infilava fra me e la sua sedia. D’altronde non potevo montare la guardia: come avrei potuto. Sorvegliare i suoi passi, gli spostamenti al buffet. No… Solo a pensarci mi sentivo ridicolo. Figuriamoci a farlo.

– Sei sicuro di stare bene? Non è che ti sei ammalato? È come se tu parlassi a vanvera, nel pieno di un delirio. Se non ti avessi davanti in piedi, tutto d’un pezzo – Amedeo sono seduto – Ok, se non ti vedessi seduto a questa tavola, affamato e sveglio, direi, sentendoti parlare, che ti si è fulminato il cervello.

Come è possibile!? Adesso per invitare una donna a ballare devi prima elaborare un piano, una strategia? Ma va…! Il tango ti sta rincoglionendo. Ascolta il mio consiglio. Mollalo. Smetti. Prenditi una pausa.

– Com’è? – Buonissimo!
– Avevi ragione – Ottima idea, la polenta è morbida e cremosa.
– Prima di toglierla dal fuoco ho aggiunto un cucchiaio di questa panna acida e ho mescolato appena, quanto basta per amalgamare.
– Scotta. – Soffia. – Intanto che aspetti beviti un sorso e parla.

– Il tempo passava, la serata correva. Le tandas erano da quattro. Maledette tandas da quattro: non finiscono mai. Eugenia cominciava a spazientirsi. Non sapevo più cosa inventare per trattenerla. Era stanca e stufa. Sarebbe bastata un po’ di attenzione da parte mia. Avevo provato a ballare con lei. Non le andava, sentiva che ero teso.

Percepiva che non c’ero, che la mia testa ed il resto del corpo stavano da un’altra parte: – scusa come balli? – Perché, che c’è? – Mi sembri strano. Non so, mi pare di ballare con un altro, vuoi che andiamo a sederci? – No, continuiamo. – Allora impegnati, fammi sentire che ci sei e che stai ballando con me.

Continua a leggere

La Cumparsa di un’estate ovvero la schiena delle donne

Il carpintero e l’odalisca. 01 – Giordano il carpintero – senza donne – si supieras – niente mirada – abbraccio timoroso – sei sedie – vestito leggero – né dura né tremula – odalisca – rhum di 23 años – tres empanadas.

Ti va se facciamo ancora una tanda?
Più tardi… dopo queste milongas ho bisogno di prendere fiato.

La sera dopo cena è venuto a trovarci Giordano, un milonguero di Quilmes. Di mestiere fa il carpintero. In questi giorni ha rattoppato i vecchi armadi delle nostre camere. Ora le ante restano chiuse senza bisogno dello scotch ed i cassetti scorrono normalmente quando vuoi un paio di mutande.

Restiamo a parlare fuori nel giardinetto seduti sugli scalini vicino al cancello di ferro battuto. Gli chiedo della sua vita. Mi parla di tango e di donne. Apro le orecchie, mi piace ascoltare.

Racconta di quando un anno fa o poco più, era a Mar Del Plata per qualche giorno di vacanza. La serata era agli sgoccioli: una milonga estiva all’aperto con La Cumparsita appena iniziata. Senza accorgersene era “rimasto a piedi”: nessuna delle “sue donne” libera. Erano già tutte in pista a ballare il “sacro” Si supieras… che chiude tutte le serate di tango.

– E allora? – Gli domando.
– Ho mosso gli occhi, mi sono girato. C’era una donna seduta in disparte quasi non volesse farsi notare. Le palpebre abbassate sulle dita dei piedi dentro sandali eleganti, essenziali. Non potevo aspettare che alzasse gli occhi, volevo ballare, non c’era tempo per una mirada. Le sono andato incontro. – Balliamo?

Continua a leggere

La governante

Don Quixote – Antonio Saura

14.5 – Cabeceo e mirada – adepti e profani – è vero il contrario – la governante – alta tensione – sospiro di sollievo – due bicchieri da mezzo.

Poc’anzi ti ho fatto il cabeceo… Forse non te ne sei accorta?
Stai alla larga.

Cabeceo…? Mirada…? Chi sono costoro? Forse una coppia di malcapitati, le cui vicende bricconesche hanno riempito le pagine di un vecchio poema picaresco?
Due comuni mortali alle prese con la vita di ogni giorno e che in cambio dalla sorte hanno ricevuto ogni genere di angustie?
O un Renzo e Lucia ispanici alle prese con le traversie di un destino ingrato che ne ostacola l’amore tanto desiderato?

No. Ovviamente. Si tratta di due diavolerie che nel tango dettano legge, o così dovrebbero. Tutto dipende da dove ci si trova. A Baires non se ne può fare a meno. Da noi, adepti e allo stesso tempo profani di una parte della tradizione, si può tirare avanti anche senza.
Sono i due modi codificati per invitare a ballare o farsi invitare.

L’uomo dovrebbe guardarsi in giro, cercando di incontrare lo sguardo di una donna con cui vorrebbe ballare, e farle un leggero cenno con il capo (cabeza). Se la donna dimostra assenso con un impercettibile segno degli occhi (mirada), allora entrambi si alzano, ognuno dal proprio tavolino e si incontrano in pista.

Don Quixote – Picasso 1955

Ho scoperto che è vero anche il contrario. È la donna a prendere l’iniziativa, a guardare (mirar). Un’occhiata rapida, di sfuggita, come se non volesse farsi notare, girando subito il capo dalla parte opposta. Se l’uomo se ne accorge, non sempre succede, è a cavallo. E se ballare con quella donna è di suo gradimento, dopo alcuni secondi si muove verso di lei, sicuro che anche un invito diretto, a distanza ravvicinata, non verrà preso come una forzatura.

Durante la pausa fra il secondo ed il terzo brano, la porteña continua nella sua filippica, e con piglio e tono da governante, mi raccomanda che alla fine del quarto tango la dovrò accompagnare fino al suo tavolo, ringraziarla e salutarla. E così di seguito se vorrò continuare a ballare. Do il mio assenso con il capo. I miei occhi sono spaventati, impauriti. Questa qui non fa altro che dare ordini: fai questo, fai quello.

Fa pure caldo, si suda. Stare al cospetto di costei mi ha raffreddato la pelle, come lo splitter di un clima, ed il mio sudore, caldo e accettabile è diventato freddo, “umido” e fastidioso.

Don Quixote – Picasso 1955

Finalmente arriva la cortina. Per un pelo non dimentico di riaccompagnarla al tavolo. Faccio un solo passo e sento la sua mano che da dietro mi tira la maglietta. Mi scuso, sono frastornato, recupero in extremis ed eseguo alla lettera il compito appena assegnatomi.

Quella appena terminata è stata una tanda ad alta tensione. Oltre ad averle ripetutamente sentite, ho fatto una fatica bestia a cercare di capire il senso delle parole della mia nuova e improvvisata istitutrice, vista la mia scarsa, per non dire inesistente, conoscenza del castigliano.

Non oso ripensare alla qualità del mio tango. Teso come le corde di un violino credo di aver ballato malissimo. In ogni caso è andata. Grande sospiro di sollievo.

Non ho più ballato per per il resto della serata. Mi sono scolato il bicchiere da mezzo, pieno di birra, rimasto sul tavolo ad aspettarmi, e fatto il bis subito dopo. Troppa ansia e nervosismo. Il cabeceo non è facile da fare. Se nessuno fino a quel momento te lo ha insegnato, di sicuro non lo impari in una serata. Serve tempo per esercitarsi, possibilmente in un ambiente “famigliare” come quello di una pratica della scuola (segue).

Don Quixote – G.A.Harker

Link: Voglio tornare casa 14.0 – Babele 14.1 – Il ponte al tramonto 14.2 – Birra, rhum y tango 14.3 – Quando si socializza? 14.4 – Rito arcaico 14.6

Un tango alla volta…

Nome: Una Emocion
Genere: Tango
Anno: 1943 ?
Compositore: Raúl Kaplún
Letras: José Maria Suñe
Orquesta: Ricardo Tanturi
Canta: Enrique Campos
Registrazione: 1943
Ballano: Geraldine Rojas y Javier Rodriguez – 2002

Nome: Hotel Victoria
Genere: Tango
Anno: 1906
Compositore: Feliciano Latasa
Letras: Carlos Pesce
Orquesta: Pablo Mainetti Quinteto
Registrazione: 2000
Ballano: Geraldine Rojas y Javier Rodriguez – 2002

Quando si socializza?

14.4 – Rifiuto – altri due metri – pietà miserevole – vietato parlare – quando si socializza? – intervallo di ciance – incubo porteño.

Balliamo?
Perché tanta fretta? Meglio aspettare… Davanti c’è tutta una vita… 

Lascio passare tre tandas. Riprovo. Mi allontano di pochi tavoli, chiedo in italiano se vuole ballare. – NO.

La risposta è un no secco. Panico. Faccio un solo metro e curvo di schiena, manco stessi elemosinando, chiedo di nuovo ad un’altra. – NO. Più determinato del precedente.

Resto di pietra: ogni centimetro quadrato del corpo sperimenta cosa sia il panico fuori controllo. Ma che cavolo hanno queste strane donne, che in traduzione simultanea significa: stronze.

Raccolgo tutto il savoir faire disponibile, riesco ancora a muovere le gambe – non so per quanto – faccio altri due metri. Richiedo sempre in italiano…

Non mi sono visto – come avrei potuto – posso solo immaginare: in quel momento i miei occhi con il resto del volto devono aver dato l’impressione, neanche tanto simbolica, della pietà più miserevole.

Mi guarda in cagnesco, sta per arrivare il terzo no, indugia, si attarda un attimo, mi mostra con evidenza il suo disappunto e dopo interminabili secondi, anche se di malavoglia, si alza e sbuffando, accetta di ballare.

Avrà pensato: ma guarda chi mi doveva capitare: il turista più sbalestrato di tutta Baires.

Considerato che mentre si balla è “vietato” parlare, in più di un’occasione mi sono chiesto quando, nel tango, si riesca a socializzare. Non che mi interessi, preferisco di gran lunga ascoltare la musica e ballarla per l’appunto, tuttavia credo che una parvenza di scambio di qualche parola possa alleggerire l’inevitabile tensione che si crea fra due persone che ballano senza conoscersi.

Già due sere prima, al Canning, mi era parso, senza farci troppo caso, di notare qualcosa di diverso – rispetto ai nostri usi e costumi – nel comportamento delle persone durante una tanda.

Questa sera ho avuto la risposta che cercavo: a BA le coppie di milongueros socializzano fra un brano e l’altro di una stessa tanda.

Prima di riprendere a ballare, lasciando scorrere la musica, usano soffermarsi sul posto per circa un minuto o poco meno, per parlarsi, conoscersi, scherzare… Se la pista è quindi piena, è impossibile cominciare a muoversi fin tanto che non sia trascorso questo intervallo speso in ciance.

E la prova ne è che la porteña, nella pausa fra il primo ed il secondo tango, ne ha approfittato per iniziare con una filippica di rimproveri senza fine. Mi spiega che ha accettato di ballare solo perché ha capito che ero un turista patetico, ignorante delle regole della milonga.

Sbalordito per ciò che sento, chiedo spiegazioni. Dice che nessun uomo può permettersi di andare al tavolo di una donna e rivolgersi ad essa con un invito diretto a parole. È una grave mancanza di rispetto. Mi spiega che l’unico invito possibile è quello alla vecchia maniera, con mirada e cabeceo.

Il suo sguardo è fermo ed esplicito apposta: vuole essere sicura che io abbia capito. Io invece sono esterrefatto. Altro che socializzare, questo minuto di intervallo è un incubo (segue).

Link: Voglio tornare casa 14.0 – Babele 14.1 – Il ponte al tramonto 14.2 – Birra, rhum y tango 14.3 – La governante 14.5 – Rito arcaico 14.6

Un tango alla volta…

NomeAlas de tango
Genere: Tango nuevo
Anno: 1997 ?
Canta: Leon Gieco
Registrazione: 2007 ?
Ballano: Yla y Otto – 2007 ?

Le donne che guardano

11.3 – Fra uomini – incertezza e abbraccio – le donne che guardano – roulette russa inversa – donne radar.

Una cara amica insegnante mi ha detto: – se vuoi essere invitata a ballare: o sei figa o sei brava. Se non sei nessuna delle due o ti appassioni a qualcos’altro o che dio ti aiuti… In ogni modo puoi sempre andare a lezione e imparare…

Senza le donne il tango non esisterebbe.

Il fatto che la leggenda – suffragata da alcune foto – racconti di uomini che in passato, agli inizi, ballavano fra di loro, non significa che facessero tango. Erano prove e gare di abilità. Sfide per primeggiare: al posto del coltello si usavano ganchos, cruces e giros, nothing else. Niente di più di un passatempo fra un turno di lavoro massacrante e l’altro.

Poi sono arrivate loro, le donne, ed è cominciato il tango.

Ad una non piccola parte di esse, abituali frequentatrici degli appuntamenti di tango, capita di passare le serate in milonga, sedute, o in piedi, – se i posti sono esauriti – a guardare…

La causa di ciò sta nel numero: le donne presenti sono sempre più numerose degli uomini.
L’amore per il tango ed il desiderio di ballare sono tali da non poter esserci incertezza in grado di limitare la voglia di ascoltare questa musica meglio ancora ballando avvinte dalla magia di un abbraccio. È un richiamo sirenico cui si possono frapporre solo impedimenti abbastanza gravi da non essere procrastinabili.

Per consuetudine legata alla tradizione, le donne si sottomettono al bizzarro gioco dei ruoli, che le vuole in frustrante attesa di un invito. In genere non potendo altro, accettano senza scomporsi di partecipare a questa specie di roulette russa inversa. A sostenerle in questo azzardo c’è solo un ingenuo ed incrollabile ottimismo, che nelle serate di magra si muta ben presto in mal celata rassegnazione.

Esistono delle esenzioni appannaggio delle più fortunate, che arrivano in coppia o accompagnate da uno o più amici. A queste è riservato il privilegio innanzitutto di ballare, poi di poter farlo con costanza e continuità durante tutta la serata.

Alle altre non resta che sperare e guardare. Lo scopo è sempre il medesimo: farsi notare e possibilmente invitare.

Ogni donna ha un suo personale modo di guardare.

Minimale: il corpo è quasi immobile, la postura della schiena eretta, – c’è la variante a schiena flessa appena chiusa in se stessa – le gambe composte, o sobriamente accavallate, i movimenti del viso ridotti e impercettibili. L’espressione cerca di dissimulare al meglio la sensazione di fastidio, malessere e forse imbarazzo. Il sorriso è statico, bloccato. Lo sguardo è vago, fisso in un’unica direzione: il pavimento, il mucchio, il vuoto.

Ci sono donne che di minimale non hanno nulla e di conseguenza non guardano: scannerizzano.
Il corpo lasciato in libertà, rilassato e comodo, contrasta con gli occhi simili a implacabili radar, che ispezionano instancabilmente il territorio a 180 gradi. Sono loro: le fans della mirada, lanciano strali a destra e manca, dove capita, alla ricerca dell’agognato cabeceo o di un invito, qualunque sia, purché sia.

Altre donne fingono di non guardare: mirano ad attrarre.
Cercano di mettersi in evidenza puntando su un abbigliamento originale o eccentrico fatto di spacchi distrattamente spalancati, su una postura incurante, tutta gambe che si  accavallano fuori norma. Per guardare usano la coda degli occhi.

Una menzione meritano le donne ipercinetiche, mani sempre occupate: dal cellulare, o da un’agendina, da una fotocamera, o da un bicchiere. Fingendo totale disinteresse, il loro guardare è intermittente: gli occhi si alternano a brevi  intervalli cadenzati, dal particolare al generale, dalle proprie mani al resto della sala.

Trascorsa inutilmente la prima ora di osservazione, uno sparuto numero di esse, coraggiose e decise a prendere in mano il proprio destino, passa all’azione. Lasciano la preziosa postazione, fino ad allora difesa con i denti e si dirigono verso un uomo fingendo casualità.
L’approccio può avvenire in modo implicito o esplicito.
Nel primo la donna saluta: – ciao, anche tu qui, come stai? Queste parole sono un codice che tradotto significa: mi inviti a ballare?
Nel secondo la donna tralascia convenevoli e giri di parola e chiede sorridendo di essere invitata.
In entrambi i casi, salvo rari episodi di villania, c’è il lieto fine: si balla e l’insperato abbraccio è conquistato.

C’è un particolare tipo di donna che sa fondere in un solo colpo quattro peculiarità: l’impazienza, la rassegnazione, la capacità di adattamento e la facilità a socializzare.
Stanche di aspettare un invito che non arriva, più o meno a metà serata, rinunciano alla prospettiva di ballare. Non provano disagio nel trovarsi in un posto dove si dovrebbe ballare e loro sono temporaneamente escluse: iniziano, con disinvolta normalità, a scambiarsi impressioni, punti di vista, chiacchiere con una o più vicine di posto.
Il loro motto è: ci saranno altre occasioni …

Link: Foto originali