Due occhi chiari

Capplegnami_Baires_Bernal_

28.2 – Un modo dissimile – gente per bene – melodia e ritmo – cadono e volano – voce antica – un oceano di pelo nero – provvidenziale dissetata – a passo d’uomo – tre taglie più piccola – senza alcuna convinzione.

Mi ricorderò ogni attimo per un bel po’… credo…
Meglio dimenticare…

Terzo viaggio.

Febbraio 2013. L’estate, quella di Baires è un’altra cosa. Esattamente non saprei… cosa. So che l’aria è diversa, altri colori, sarà la cadenza del tempo, forse le ore durano più a lungo. Anche le persone si muovono in un modo dissimile… dal nostro. Più resto da queste parti e più a lungo ci resterei.

Bernal, il mio barrio, dove soggiorno quando mi trovo a Baires, è un posto tranquillo, il Rio è a qualche chilometro e la gente che vi abita e che ho avuto modo di conoscere è sempre cordiale e premurosa. Da noi si direbbe: gente per bene.

Lo status di turista che mi porto dietro come marchio indelebile, mi rende accettabile ben oltre le aspettative. Qui sono io ad essere esotico e come tale dò agli altri senza alcuno sforzo, il motivo di tante attenzioni nei miei riguardi.

Capplegnami_Baires_Bernal_Studio

Ogni mattina mezz’ora di running: trentotto quadras. Non è tanto: è abbastanza. Non sono mai le stesse, variare il percorso senza uscire dal mio territorio è semplice. Da noi non sarebbe possibile per via di un diverso approccio al concetto di urbanistica. Fa già caldo e si suda parecchio.

Uso lo shuffle di prima generazione: solo tangos e qualche valsencitos. Niente milongas né candombe, il loro compas non si adatta alla frequenza delle mie falcate. Ho scelto con cura i brani: melodia e ritmo, devono esserci entrambi, altrimenti sono scartati. Correre è come ballare. Senza melodia si balla male, idem senza ritmo. La prima accresce la passionalità. Il secondo aiuta a tenere il tempo. I musicalizadores che non prestano attenzione a questa regola elementare sono idioti.

Continua a leggere

El puente viejo

Capplegnami_Baires_PuenteViejo

28.1 – A precipizio sul water – calma placida – frenesia iconoclasta – perdere l’equilibrio – una parvenza di valore – geometrie arancioni – senza alcun rimpianto – come un barbagianni – avanzi di un asado – uno spazio grande quanto un fazzoletto.

Che fai di bello?
Never more… (E.A. Poe) – Nunca mas… (per gli argentini) –
Mai più…!

Terzo viaggio.

I mesi sono volati via. Di corsa: fra tango, donne e dolori…
Ma… tornando ad un venerdì dello scorso febbraio: …il caldo dell’estate australe è avvolgente, non lascia scampo, la brezza costante mitiga appena il senso di soffocamento, sono le due del pomeriggio, i piatti sono lavati, la pancia è piena e le tazze grandi, colme di caffè bollente sono pronte.

Aspetto… non arrischio, non voglio scottarmi le labbra, guardo Amedeo che come al solito a quest’ora ripassa per la seconda volta (la prima è di mattina presto, appena sveglio, la terza è di notte a qualsiasi ora, prima di andare a letto) il suo quotidiano on line preferito sul nuovo iPad mini, che funziona benissimo nonostante il suo scetticismo iniziale dovuto alle sue grosse dita, sproporzionate rispetto alle dimensioni ridotte del display.

Capplegnami_Baires_Inmobiliaria

Ora invece ci si è affezionato a tal punto che in casa non lo molla mai, nemmeno per fare pipì: lo appoggia sullo sciacquone in equilibrio instabile a precipizio sul water. Fino ad ora gli è andata dritta.

Continua a leggere

Vals o milonga?

Capplegnami_Baires_Club_Gricel

23.2 – Barrio degli italiani, dei genovesi – giornali scaduti – birra come fosse champagne – invitata a man bassa – le scarpe mi fanno impazzire – dopo il grande freddo – fermarsi fino alla chiusura.

Quando torno balliamo.
Quando…?

Secondo viaggio.
Buenos Aires non può essere presa sul serio perché non è mai uguale a se stessa. I suoi riferimenti cambiano ad una velocità superiore a quella del tempo. I suoi luoghi hanno perso la connotazione originale e sono altro: La Boca era il barrio degli italiani, dei genovesi. Pur continuando ad essere la zona franca dell’immigrazione, haora è rifugio sicuro per paraguagi ed altre genti sudamericane.

Gli immigrati, nostri ex connazionali hanno mantenuto il cognome originale di marca italiana, mentre per i nomi, sono stati adottati, per decreto o per omaggio alla nuova patria, quelli di matrice spagnola: ci sono mille Juan, nemmeno un Giovanni.

Camminando lungo Corrientes abbiamo incontrato un’edicola sui generis: in vendita solamente copie di giornali scaduti. Numeri pubblicati molti anni addietro, fino ottocento, primi novecento o in date salienti della vita e della storia di questa città: emblema e sinonimo assoluto di Argentina.

Questo paese probabilmente non esisterebbe se Baires non fosse state fondata. Baires ha la suerte dalla sua parte. Il tango, senza nulla pretendere in cambio, le ha donato il privilegio di essere la città più bella della via Lattea, perché qui c’era già tutto: per fecondare, crescere e creare.

Incantesimo o destino: come ad Atene ai tempi di Pericle, o a Firenze durante la guida di Lorenzo il Magnifico, o nella Parigi dei primi novecento all’epoca delle avanguardie storiche.

Capplegnami_Baires_Amedeo__

Vedi – mi dice Hector Bossi, un milonguero di circa settant’anni ottimamente portati, impeccabile nel suo blazer blu, che tre sere fa ci ha accompagnato con la sua macchina al Club Gricel, uno dei posti sacri, laicamente parlando, della tangueria di Baires, fra Boedo e San Cristobal – negli anni quarenta y cinquenta è successo di tutto.

Continua a leggere

Medialunas de grasa

Il carpintero e l’odalisca. 09 – raccontastorie – scemo integrale – l’aurora e il choclo – eccessivo e teatrale – donna dell’ottocento – uno psichiatra di fiducia? – rammenta chi sei – i pappagalli di Bernal – misuragli la febbre – bellicose soires – l’obbligo divino – medialunas de grasa.

Sono io…?

Chi credevi che fosse?

– Voglio andare a dormire, datemi un letto.
– No, tu resti qui e continui a raccontare.
– Sono le tre di notte… passate da un pezzo.  – Non importa, si va avanti ad oltranza.
– Perché? Che volete da me? 
- Niente, vogliamo sentirti parlare. Ti abbiamo adottato: sarai il nostro passatempo, il nostro raccontastorie.
– Amedeo… non sei tu quello che di solito fa le battute al vetriolo?
– Certo. Mi sanguina il cuore… Vorrei aiutarti … Impresa impossibile… Saresti già da buttare. Vogliamo sapere fin dove ti spingerai con le tue paranoie per questa donna. Vogliamo sapere di lei, questa odalisca, questa incantatrice che ti ha ridotto in questo stato.

– Primo nessuna paranoia. Secondo è bellissima! Voi non immaginate quanto.
– Senti questo scemo integrale… Come puoi dire una cosa del genere… di una donna che hai vista due volte…!
– No. L’ho incontrata ancora.
– Allora è vero?! Bene è da qui che dobbiamo ripartire. Metti sul fuoco tre pannocchie, sono nel frigo. Mi raccomando il sale: né tanto né poco.
– Pannocchie?! Alle quattro meno un quarto di notte? E sarei io quello fuori di cabeza…?!

Continua a leggere

Dentro La Boca

15.6 – Dentro La Boca – rassegnazione e indifferenza – cartina borsa e digitale – turista per caso – paria e spettatori – avanzi e sedimenti – genovesi e paraguagi – senza paura – asilo permanente.

Ti ho vista all’ultimo illegal.
E tu? C’eri?
Si…
Non ti ho visto.

Per le vie di questo barrio, è facile incontrare gente dall’aspetto miserevole, segnato da forzata rassegnazione e antica indifferenza. Questa, di primo acchito, è l’apparenza che si nota senza la necessità di alcun bagaglio cognitivo. Basta guardarsi attorno.

È ciò che vede chi è qui per la prima volta, venuto in questo barrio da turista, con la cartina delle vie in mano, la borsa a tracolla e la digitale che scatta a ripetizione. Il mio è lo sguardo di un estraneo, qui a curiosare e a indagare morbosamente, non certo venuto per rimanere e neppure per passarci la vita. Un turista per caso in cerca di facili e fatue emozioni. Un turista come tanti, come tutti.

Piano a piano, questo modo di porsi, questo essere paria e spettatore, smussa gli spigoli, si adatta, cerca una sintonia ed è fantastico perché in breve, senza accorgersene, ci si sente cambiati, diversi. Una specie di mini mutazione genetica. Sono sufficienti un paio d’ore o poco più.

Prima immagini e poi senti di essere uno di loro, come a casa. Ti guardi addosso, davanti ad uno specchio che riflette non le immagini ma i pensieri. Pensi “concretamente” di abitare in uno di questi edifici malsani con la facciata bombardata dal tempo, oppure accanto ad un cortile adibito a deposito di inservibili sedimenti, ingombro di ogni cosa avanzata e abbandonata da generazioni di malcapitati in cerca di un altro luogo più sicuro.

Pensi di fare parte di questa comunità: ieri di genovesi disperati senza un soldo, sfiniti per il lungo viaggio in mare, oggi di paraguagi semiclandestini alla perenne ricerca di qualche ora di lavoro giornaliero per non cadere nelle tentazioni della microcriminalità o finire schiacciati e ammucchiati in una delle tante e non distanti villas de miseria.

Vorresti spogliarti di ogni segno che evidenzia il tuo essere turista. La commiserazione per tutto, che provavi fino a poche ore prima è dimenticata, il paternalismo europeo dissolto. Diventi parte della comunità e consideri gli altri tuoi simili, appesi come marionette alla vita con i suoi alti e bassi.

Girovagare per La Boca fuori mano, per le sue strade popolari, sarebbe francamente sconsigliabile, ma oggi c’era un sole splendido che riscaldava e illuminava tutto attorno. La frescura all’ombra dei grandi platani dava sollievo e per tutto il tempo passato dentro questo barrio ci siamo sentiti contenti e senza alcuna paura.

A dare retta alle voci di chi sa di più e vuole ad ogni costo dimostrarlo, credo che le strade comuni di questo barrio, dopo l’imbrunire restino off limits. Il pericolo di incontri poco amichevoli è molto alto.

Amedeo è stufo e stanco di camminare a zonzo, vuole uscire da questo quartiere di ex italiani, vuole tornare alla sua normalità, senza ansie e patemi di Bernal. Acconsento a malincuore, io sarei rimasto ancora, per conoscere anche la notte a La Boca, e a questa gente, avrei chiesto asilo permanente.

Link: Spontanea e illegal 15.0 – Los profesores 15.1 – Le amazzoni del tango 15.2 – La Boca 15.3 – Caminito 15.4 – Parrilla y choripan 15.5

Un tango alla volta…

Nome: Quien sera
Genere: Tango Vals
Anno: 1940
Compositore: Luis Visca
Letras: Luis Rubistein
Orquesta: Edgardo Donato
Canta: Horacio Lagos
Registrazione: 1941
Ballano: Ines Muzzopappa y Federico Naveira – 2009

Caminito

15.4 – Caminito – Mar del Leon – la giusta distanza – profondo degrado – imagination au pouvoir – La Bombonera – cuore e pancia – calcio o tango?

Domani sera vieni al tango illegal?
No. Il giorno dopo lavoro… Si vengo.

…Caminito: in questo luogo il tango è nell’aria, le note si mescolano all’ossigeno che si respira. Il tango esce in strada da ogni negozio, da ogni caffè. Le bancarelle vendono tango. I ristoranti servono all’aperto blocchi di carne alla griglia, con sottofondo de La Cumparsita, del Choclo e così via…

A due passi c’è lo specchio d’acqua dell’ex approdo, ora fra i più inquinati del pianeta. È un’ampia ansa che il Riachuelo forma poco prima di uscire nel Mar del Leon, il Rio de la Plata. Nei tempi passati è stato uno dei luoghi dove si è fatta l’epopea di questa città e dell’Argentina intera. È come se i progenitori dei porteños di oggi fossero letteralmente usciti, sgorgati a frotte da queste acque.

L’assalto al turista pagatore non è assillante come in altri posti della terra simili a questo. In strada gli addetti alle pubbliche relazioni, con il compito di attirare gli avventori, si accostano con sobria gentilezza, senza mai oltrepassare la giusta distanza: quella che non permette di cogliere l’odore di chi ti parla.

La cantilena porteña, un sorriso mai ipocrita e la facilità a chiacchierare anche di cose non attinenti al loro stretto mansionario, sono i modi per interagire con i passanti, i visitatori. Evocare ricordi lontani di padri e nonni arrivati chissà quando dall’Italia è la cosa che gli riesce meglio. Ascoltarli mentre raccontano non è un fastidio: è bello e procura piacere.

Il barrio de La Boca non è solo Caminito, ti prende e affascina tutto. Dopo qualche ora continuiamo a esplorare, anche più in là, oltre il ristretto perimetro turistico delle costruzioni in lamiera colorata e sgargiante.
 Lo stato di profondo degrado è di casa.

Ogni cosa, ogni angolo ne porta i segni. Sembra che ciò che è stato sia ancora lì, uguale e quasi identico a come fu, a parte le rughe che il tempo ha disseminato senza badare a spese. Mancano pezzi o parti di essi, consunti, sbriciolati passivamente dal passare degli anni di cui è rimasta evidente la traccia.

Paradossalmente, il fatto che gli argentini in diversi momenti dello svolgersi del loro destino, abbiano tralasciato di ammodernare, eseguire manutenzioni, e apportare rifacimenti, risulta di grande vantaggio. Il turista accorto e osservatore, che riesca a guardare con occhi che immaginano, può ricostruire in una mappa mentale la morfologia di questo posto incredibile al tempo delle navi cariche di immigrati.

“Imagination au pouvoir”: nel mio sessantotto da adolescente era il motto urlato per le strade dagli studenti della Sorbonne e dai lavoratori della Renault ed è ciò che oggi a La Boca si fa senza dover protestare con disarmante naturalezza.

La Bombonera, il leggendario stadio del Boca Juniors, con la sua sagoma ingombrante, simbolo di un’architettura che si è autoesclusa da ogni commistione con la razionalità, è a due passi, ad appena quattro quadras, lì in mezzo, fra case e rivendite. Non ci sono parcheggi. Né piccoli né quelli sterminati dei nostri stadi. Alle partite ci si può recare con gli autobus che fermano ad alcune quadras di distanza e poi a piedi.

Tutti gli argentini, compresi i porteños sono genuinamente tifosi del pallone. Il calcio è radicato nel cuore, nell’anima e nella pancia di queste genti. È una sovrastruttura culturale impressa e indelebile, non un semplice elemento aggiuntivo: un’abitudine fortemente permeata, popolare, di tutti, che nulla ha da spartire con il fanatismo.

È verosimile che l’adorazione per il calcio ponga temporaneamente in disparte anche l’amore per il tango. A Baires non c’è milonguero, che messo difronte ad una scelta, fra tango e calcio, non opterebbe, senza alcuna remora, per quest’ultimo. È assurdo? Non lo so. Non avendo mai sbavato per il calcio, non posso comprendere come lo si possa preferire al tango. Mistero o follia collettiva o entrambi (segue).

Link: Spontanea e illegal 15.0 – Los profesores 15.1 – Le amazzoni del tango 15.2 – La Boca 15.3 – Parrilla y choripan 15.5 – Dentro La Boca 15.6

Un tango alla volta…

NomeCok Uzaklarda
Genere: Non Tango
Anno: 1991
Compositore: Loreena McKennitt
Letras: Kayahan
Canta: Nilufer
Registrazione: 1997
Ballano: Maria Alferova e Burak Ozkosem – 2009

Il ponte al tramonto

14.2 – Tango e dogmi – dalle venti all’una – il ponte al tramonto – sole rosso e penna bianca – alla spicciolata come a rosario – due sacchi di patate – grigio giallo e rosso – dentro La Milonguita.

Preferisci la tanda di vals o di milonga?
Dematerializzati!

Quantunque ognuno possa dire, fare e pensare ciò che vuole, del proprio modo di ballare tango e di quello degli altri, esistono dogmi che come tali vengono vissuti e assimilati.

Uno di questi è tout court lo stile di Villa Urquiza che non solo non ha eguali in termini di eleganza e purezza di movimento, ma è anche sinonimo della più alta e mai eguagliata creatività tanguera. Si basa sull’immaginazione visionaria di gente autodidatta che da un quartiere decentrato e lontano ha innescato la miccia di un tango ballato, il cui stile ha conquistato il mondo.

Mi chiedo, senza rispondermi, perché Amedeo non abbia comperato casa a Villa Urquiza.
Rinvengo dallo stato di trance, mi ricollego subito alle ultime parole del maestro sulla nostra destinazione serale. Ottimo, ancora una volta nel cuore della Baires tanguera. Ci accordiamo per le diciannove. Questa volta si parte presto perché si comincia a ballare alle venti per tirare fino all’una. Oggi è domenica e domani anche per i porteños ricomincia la settimana lavorativa.

Viaggiamo con la luce incandescente del sole. Oltrepassiamo il barrio de La Boca che resta fuori alla nostra derecha. Il colore del tramonto con il sole ancora alto amplifica i contorni in controluce, del ponte di ferro, accentuando quell’aspetto laicamente mistico che già di per se possiede.

Siamo anche stavolta in quattro, Lucia non c’è, ha dato forfait, al suo posto a fianco del conducente c’è il settantenne che ho soprannominato penna bianca. È simpatico, non fa che parlare di donne e di tango. Si capisce che ce l’ha nel sangue: sia le prime che il secondo.

Non mi riesce di dargli confidenza. Parla con Amedeo che snocciola senza fatica il suo discreto spagnolo. Intuisco solo con l’orecchio, – gli occhi sono rivolti al finestrino, fuori c’è tutta BA da guardare – che si stanno destreggiando fra le solite, alienanti, domande e risposte, di due persone che non sanno cosa dirsi perché non si conoscono e non hanno nessuna intenzione di cominciare a farlo.

Arriviamo dopo un’ora di viaggio. Non vedo alcunché di turistico o di cittadino in senso stretto. Accesso sobrio e dimesso. Tutto ciò che ho davanti sa di vissuto, non di vecchio. Le persone stanno arrivando a piedi alla spicciolata, come dovessero andare al rosario serale. Le membra danno al corpo la stessa positura di chi si reca a pregare: contrita e pensierosa.

L’atrio è ampio, il colore dominante è il grigio, chissà da quanto. È un ex cinema o ex teatro di quartiere. I soliti pochi pesos. Entriamo. Sala rettangolare con palco. Triplice fila di tavolini lungo tre parti del perimetro, un ferro di cavallo che lascia scoperto il lato sotto il palco.

Tantissime sedie una appiccicata all’altra, alla francese. Il maestro ci sistema, Amedeo e me, in due sedie prenotate e ci molla lì come due sacchi di patate, per andare a sedersi assieme a penna bianca, con altri amici appena incontrati, nella parte opposta della sala.

Guardo attorno: ora a prevalere sono il giallo luccicante e il bordò opaco: sono i colori dell’arredo. Amarillo per le orribili sedie in tubo di metallo ottonato con sedile imbottito e ricoperto di stoffa la cui fantasia grida vendetta. I tavolini sono in pendant. Il kitsch è di casa e non fa sconti.

Le tende sul palco sono quelle solite e pesanti del vecchio sipario in velluto rosso. Tutto è brutto e fuori tempo, quasi irreale tanto è assurdo. Sembra di essere al backstage di un film di Fellini, con un’unica differenza: questo è uno dei posti migliori per ballare tango a Baires (segue).

Link: Voglio tornare casa 14.0Babele 14.1 – Birra, rhum y tango 14.3 – Quando si socializza? 14.4 – La governante 14.5 – Rito arcaico 14.6

Un tango alla volta…

Nome: Caricias
Genere: Tango
Anno: 1937
Compositore: Juan Martí
Letras: Alfredo Bigeschi
Orquesta: Francisco Lomuto
Canta: Jorge Omar
Registrazione: 1937
Ballano: Natasha Lewinger y Pablo Rodriguez – 2012