17.1 – Dove vai?! – piazza delle erbe – la gente una moltitudine – tandas perfette – di spalle a un metro – un ago nel pagliaio – capelli chiari – conosco e mi conosce – il ritardo è bello – Silencio – La Cumparsita – festa popolare – calamari e sauvignon – quale confine? – Beltango – Edmundo Rivero – cerchio e quadrato.
Sono venuta per ballare, mi inviti?
Certo…
Cosa aspetti…?!
Seduto con l’asciugamano in mano, tolgo il sudore dalla tempia destra. Mi passa davanti, di traverso, come un fulmine: – dove vai?! Non fa a tempo a voltarsi, sono già in piedi a dieci centimetri. L’abbraccio è automatico. Mi parla in fretta, poche parole una di seguito all’altra, senza pause, per non disturbare il tango appena iniziato: – è la prima volta che ricevo un invito con un “dove vai?!”. Anche per me – rispondo.
La serata è straordinaria. Piazza delle erbe, tappezzata di tavole quasi lisce, sembra la performance di qualche artista postmoderno, di quelli che ricoprono monumenti e interi edifici per celarli agli occhi di ogni giorno, che di solito non si accorgono e che hanno bisogno che qualcuno gli nasconda le cose per cominciare a vedere.
La gente, una moltitudine, fa il resto. Due distinti gruppi: quelli venuti per ballare tango: mai visti così tanti in uno stesso posto, nella stessa serata. Quattro cinquecento, forse più, da non credere. Solo a Baires succede. Mai come in questa occasione il filo con la gente del porto, i porteños, è così diretto, ed il legame così stretto.
Gli altri, gli spettatori sono innumerevoli: hanno riempito il perimetro della piazza. Non c’è spazio, non si passa. Guardano, ascoltano, incuriositi, stupiti, forse con un po’ di bonaria invidia per non essere, anche loro, fra gli adepti delle salidas.
Questa volta la scelta dei brani per le tandas è azzeccata. Tutti i pezzi si fanno ballare senza patemi. C’è parecchio spazio a disposizione e vorrei chiudere gli occhi come fanno le mujeres. Fortunate loro. Li socchiudo a tratti di più non posso, devo guidare. Quando provo questa voglia non può che essere grazie alla musica. Playlist perfetta. Bravi, non sempre lo sono. Questa sera i pieni voti sono meritati.
Più tardi ci sarà la musica che vive: i vecchi brani suonati come allora da porteños autentici e respiranti: l’Orquesta Tipica Silencio direttamente dal Rio De La Plata.
Le sono di spalle a poco più di un metro, mi giro, è di spalle sta parlando. Aspetto che finisca. Un attimo, si volta. Mi bastano due parole – ciao balliamo? Non c’è risposta, è superflua. Balliamo. In modo semplice, pulito, lineare, elementare. Né una sbavatura, né alcuna fatica, riesce a intuire e sentire la mia guida un millesimo prima che accada. Nessun muscolo si frappone. A chi ha fortuna succede una volta su cento. Dopo due tandas a malincuore ringrazio.
Invano vado in cerca di una giovane madre, una delle poche che sanno tenere il braccio sinistro appena sotto il collo dell’uomo. È come cercare un ago nel pagliaio. Sono tutte in bianco. Facilita la ricerca. Ce ne sono troppe. Desisto.
Mi sposto, trovo un posto dove riposare. Mi sento rincorso, guardo, eccoti. Una donna conosciuta durante l’estate. Bionda con i capelli molto chiari ed il corpo disegnato. Stiamo già ballando. Spesso il suo sguardo è triste, forse perché incompreso. È leggera come una piuma. Non posso fare nulla se non ballare e farla ballare al meglio di quanto io possa. Devo salutarla senza poterle promettere un’altra tanda più in là.
Sto cercando l’unica donna che su questa piazza mi conosce e conosco. Anzi mi conosceva e conoscevo. Devo ballare con lei per sapere se ne siamo ancora capaci. Domani in programma un breve espatrio sulla costa. Con un gruppo di nuovi amici dovremmo mostrare alla gente della festa di paese come si può, senza strafare, ballare il tango.
Finalmente la becco. È appena arrivata. In ritardo come sempre, basta non farci caso. Il ritardo è spesso causa di malumore. Credo sia sbagliato. Il ritardo è bello. Non c’è nulla che su questo pianeta non possa non attendere. Balliamo. Facilissimo, tutto torna. Non abbiamo dimenticato.
Ora c’è la musica che aspettavamo. Quella vera. Il palco si è animato, c’è l’Orquesta Tipica Silencio. Sono in otto: Argentina, Uruguay e un po’ di Europa. Suonano, virtuosi, sono bravi, ma… potrei sbagliarmi, suonano per se stessi e per il numeroso pubblico che li applaude.
Non suonano per chi balla. Gli arrangiamenti che utilizzano non aiutano a ballare, tutt’altro. Sono vacui senza una ritmica che faccia da guida, che segni il percorso alle coppie in pedana, sono difficili, inconcludenti. Storpiano i classici, sostituendo le sonorità famigliari con delle iperboli musicali che fungono e fanno da sfondo. Tutto qui.
Chi balla si deve arrangiare, deve inventare di sana pianta, non facile. Alla fine mi devo in parte ricredere. Eseguono La Cumparsita in modo magistrale. I brividi alla pelle arrivano. È il segno che aspettavo. Da rivedere e risentire senza fretta.
Ritornano le tandas digitali. Si riballa alla grande con passione e leggerezza. Il campanile alle spalle del palco detta le ore. La serata termina. Grande evento.
È già domani. Il tango sul palco con gli amici, guardati a vista da ottocento persone applaudenti, è stata una delle cose mas divertenti dell’estate. Una festa popolare e genuina come le sagre e le fiere di “una volta”. Bello da ripetere.
Dopo i calamari fritti e sauvignon sfuso e profumato a prezzo antico, di nuovo in milonga nella sala accanto, a due passi dal confine. Quale confine? C’è ancora un confine?
Dentro, la prima cosa che si nota con piacere è il pavimento in legno vero con i segni di centinaia di persone che lo hanno calpestato. Massello da venti millimetri perfetto per ballare. Il contorno infonde un senso di familiarità, di cose fatte in casa.
Il clima è regolato. Si sta bene. Non si suda e non fa freddo. L’acustica è molto buona, non c’è riverbero e considerate alcune recenti esperienze, non è cosa da poco. Un bel posto sembra una milonga di barrio di quelle che si trovano a Baires lontano dal centro.
Abbiamo fortuna. Questa sera a suonare en vivo ci sarà uno dei gruppi musicali di tango più noti e apprezzati in assoluto. I componenti sono giovani serbi, vengono da Belgrado. Sono cresciuti a ridosso dell’ultima guerra d’Europa. Si fanno chiamare: Beltango. Sono fra i pochissimi non argentini ad essere regolarmente invitati a suonare durante i grandi eventi di tango a Baires.
Prima di ascoltarli qualche tanda di riscaldamento che il musicalizador sceglie con maestria e coraggio. Ci fa ascoltare quattro brani di fila cantati da Edmundo Rivero, grandissimo cantante, mai, dico mai, sentito in milonga. La sua voce per quanto unica e rassicurante è ritenuta cacofonica, e la musica che accompagna non può che soccombere. E invece no. Sapendo scegliere si può ballare anche Rivero. Bene.
È il momento di Beltango. Attaccano. Bravissimi. Calmi senza scomporsi suonano ispirati. Maestri puri. Danno sia a chi ascolta che a chi balla tutto ciò che aiuta a stare meglio. I brani più noti sono interpretati con grande originalità e grande attenzione alla tradizione. Nelle loro mani e nei loro spartiti quadrato e cerchio si fondono.
Che culo essere qui stasera.
Link delle foto: Antonio Volpe – Bianco e nero – @fabrice gallina Friuli Venezia Giulia Turismo