Dieta Musicalizador & Co. Seconda parte

… Continua dalla Prima parte… 

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29.4 – Dieta… secondo comandamento – In pellegrinaggio per un saluto – Pregi e difetti – Dieta… terzo comandamento – Vademecum home made – Dieta… non mangiare… bere! – Buenos Aires e la Via Lattea.

Pensavo a qualcosa di meglio…
Più che sul tango, è sulla libertà…

Dieta… secondo comandamento

Non è mai consigliabile resistere alle tentazioni della gola, nemmeno per chi voglia dimagrire. Alla lunga, tentazioni non soddisfatte generano stress mentali e corporali permanenti, con picchi depressivi da una parte e inevitabili ricadute fameliche dall’altra. Nel breve e temporaneamente potrebbe anche funzionare, a lungo termine invece i chili in surplus non si conteranno e tale condizione sarà cronica e inattaccabile.
Meglio sarebbe evitarle, scansando il loro nefasto influsso. Come?

Una possibile soluzione, sarebbe quella di liberarsi delle riserve di cibo, che ingombrano a tal punto le cambuse di tutte le case, manco si fosse sull’orlo di una imminente carestia.
Mantenersi in linea, con la casa piena di cibo è molto difficile se non impossibile. In genere i nostri corpi ingrassano dentro le mura domestiche, il luogo più adatto per un lento e inesorabile disfacimento, al riparo da occhi estranei. Ingurgitarsi dentro casa dà la tranquillità di non essere visti, anche se poi nessuno può illudersi di nascondere al resto del mondo, pancia, fianchi e doppi menti fuori misura.

Fare la spesa una sola volta per tutta la settimana è sbagliato. Non è pensabile impegnarsi a dimagrire con i pensili e le madie costantemente stracolmi.

Capplegnami_Baires_El_Flete

Azzarderei pertanto che il secondo comandamento per chi desideri dimagrire o non ingrassare, è tenere frigo e dispense vuoti, semivuoti: lo stretto necessario per un giorno o due, optando per i freschi e lasciando confezionati, insaccati, sotto vetro e conservati vari, sugli scaffali. Con poco o niente da mangiare in casa, le tentazioni che quotidianamente e implacabilmente ritornano, resteranno pii desideri, a cui sarà facile rinunciare, visto che non ci sarà alcunché per appagarle. Mantenersi a debita distanza dalle taglie con la doppia x davanti, non sarà più un’utopia o una speranza.

In pellegrinaggio per un saluto

Una delle prassi più curiose che si possono assistere in milonga è l’abitudine di molte persone, sopratutto mujeres, di recarsi alla postazione del musicalizador per porgere un deferente saluto. Questo rituale avviene subito, una volta all’interno del locale, ancor prima di trovare un posto dove mettersi. I milongueros, in tipica postura da inchino cortado, quasi non volessero farsi notare, si presentano defilati e alla spicciolata davanti al banchetto del musicalizador e porgono la propria mano in segno di rispetto e ammirazione. Mancherebbe solamente la genuflessione. Molti si sentirebbero in animo e in dovere di farla, ma ancora, che si sappia, nessuno ha mai avuto sì tanto coraggio.

Il musicalizador da parte sua è più imbarazzato che compiaciuto di fronte a tanta immeritata altrui deferenza, anche perché i momenti in cui queste mini processioni avvengono, coincidono con la fase iniziale della serata, una delle più delicate dal punto di vista dell’impostazione e delle scelte musicali da fare, compresa la messa a punto dell’impianto audio, la ricerca dell’equilibrio acustico delle casse, e via dicendo. Il musicalizador in questi frangenti si sente sotto pressione e a tutto aspirerebbe fuorché stringere mani e allargare la faccia per ricambiare e simulare sorrisi. Quindi il suo desiderio più pressante è tagliare in fretta e lasciare questi pellegrini del tango al loro destino.

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Dieta Musicalizador & Co. Prima parte

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29.3 – Dieta…, dieta cosa…? – Alla consolle – La leggenda del bravo musicalizador – Dieta…, come fare…? – Bugia o sincerità – A chi piace… a chi no – Dieta…? Mangiare di meno – Rapporto sull’energia.

Vuol dire che farò uno sforzo!
Uno sforzo…? Ma per l’amor del cielo… ci mancherebbe…!

Dieta…, dieta cosa…?

A dieta da otto settimane. Sta funzionando. Non è una vera e propria dieta. Ho solamente ridotto le quantità abituali di cibo e temporaneamente eliminato il pane… il mio adorato pane. Facile a dirsi, molto difficile a farsi. Almeno così credevo.

Alla consolle

Sono concentrato. Una manciata di minuti e si inizia. La gente sta arrivando. Sto guardando sul display la sequenza della tandas che ho scelto per questa serata. Ore e ore di pre-ascolto, in auto, in bici su e giù per le colline dietro casa. È da due settimane che ci lavoro sopra. Ho molti dubbi. C’è sempre qualche brano che non funziona, che non lega con gli altri, poco ballabile, troppo lungo. Alla prova auricolari, l’idea che ho in testa, viene spesso smontata senza appello o ripensamento.

Trovare la giusta alternanza fra tangos, valses e milongas, fra registrazioni di epoche passate e recenti, è difficilissimo…, beccare il mix adatto è più arduo che vincere un terno al lotto. Senza contare che mettere gli stessi brani noti e arcinoti non se ne può più. Lo potrebbe fare chiunque. Ci sono migliaia di brani per nulla o poco conosciuti che andrebbero sentiti uno ad uno, valutati, scartati, schedati. Un lavoro immane con tempi infiniti. Quando mi ci metto, per un’ora, due al massimo, di più non riesco, è come trovare un ago nel pagliaio: un nuovo vecchio tango da infilare in una tanda è una pepita, vale oro.

Capplegnami_Baires_La_Cumparsita

Sono in novanta che ballano davanti a me, non tutti assieme, anche se quelli seduti che aspettano la prossima tanda non sono molti. Qualche tempo fa, ho anche messo musica per solo sedici  persone, forse capitate in quel posto per caso. Di più non ne sono arrivati. Milonga da taglio delle vene.

Questa sera non ballerò, non voglio correre il rischio che qualcosa si inceppi mentre sono lontano dalla consolle. Non ballerei rilassato e non me la godrei. E inoltre la sequenza che mi sono immaginato e che alla fine ho predisposto è di fatto una linea guida di massima, che nel corso della serata può essere modificata, integrata, sostituita. La tecnologia viene incontro ma esasperare gli automatismi non funziona. Tutto può accadere e bisogna essere preparati e pronti a cambiare, inserire, togliere, alzare o abbassare.

La leggenda del bravo musicalizador

Mi diverte sempre sentire quelli che discernono sul fatto che il vero musicalizador di tango non si prepara in anticipo la playlist della milonga, ma ha le capacità di mettere musica all’impronto, sul momento, a seconda della serata, del posto, del tipo di persone presenti, della cosiddetta energia, atmosfera, ecc. Tutte balle. (Perdonali non sanno quel che dicono).

Capplegnami_Baires_Milonga_sentimental

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Un tango vale l’altro

Capplegnami_Baires_Julio_De_Caro

29.2 – Che fare? – Le orquestas – Il punto non è questo – Un tango… non… vale l’altro.

… Gustare tutto al momento… che c’è di meglio?
Niente che conosca…

Una persona amica mi ha chiesto cosa ne pensassi. Si è rivolta a me – sopravalutando le mie capacità – per avere un consiglio e una traccia alla comprensione ed alla “classificazione” (brutta parola) delle orquestas de tango.

Che fare?

Non ho la più pallida idea di come si faccia. Il mio apprendimento è stato sul campo: poca teoria (pochissimo studio), tanta pratica (tantissimo ascolto). L’idea, che alla fine mi sono fatto si basa su pochi concetti empirici i cui margini sono dilatati e aperti ad ogni genere di infiltrazioni.

Ho scelto le scorciatoie dell’intuito, dell’orecchio e del gusto, arrivando, come chiunque altro può aver fatto, a preferenze personali e quindi opinabili. Di conseguenza l’attendibilità è posta in secondo piano, sostituita da scelte e opinioni del tutto individuali.

La musicologia…? Quella legata al tango… Di che si tratta? Cosa e come rispondere… non saprei. Salvo agli addetti, non credo interessi a molti, giusto o sbagliato che sia.

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Tandas y Mujeres

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29.1 – A discrezione del musicalizador – tre tangos – zero desiderio – ostinatamente ottuso – socializzare e prendere fiato – mancanza di tempo – sei donne in più – catechismo tanguero.

Due parole.
Anche io…

Durante una serata, le tandas vengono ripetute sequenzialmente seguendo una logica che si basa sulla tradizione, sugli umori e preferenze del musicalizador, sul range di persone presenti e sul momento ritenuto più adatto per certi brani piuttosto che per altri.

L’alternanza fra i tre generi classici che si ballano: tangos, vals, e milongas è sempre a discrezione del musicalizador che salvo eccezioni si rifà scolasticamente alla tradizione.

In realtà ci sarebbe un quarto genere che comprende i “tangos nuevos o non tangos”: una galassia di contaminazioni incrociate fatta di brani che piacciono ad un numero sempre crescente di persone e che spesso vengono messi per accontentare i fans che li richiedono, con buona pace dei puristi… (che dio li abbia in gloria).

Nella miriade di regole scritte, non scritte e codici che compongono il catechismo tanguero, tutto ciò che si basa  sulla tradizione ha un ruolo preponderante. Uscire dai dettami classici è sempre un azzardo. E la tradizione dice che le serie di brani devono essere composte da 4 tangos, 3 vals, 3 milongas.
Inutile indagare su questi numeri… a che pro?

Capplegnami_Baires_Tandas_02

Il tre – per definizione numero perfetto per eccellenza – si adatta perfettamente: ballare tre vals o tre milongas è sempre un piacere, libero da tensioni o preoccupazioni.

Quattro tangos…? Perché non tre tangos…?

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4 Orquestas e una douce femme

 Capplegnami_Baires_Annachiara

29.0 – Demoliendo Tangos – Sexteto Milonguero – Color Tango – Tango Spleen.

Mi sembra che qualcosina di più… sia accaduta…
Qualcosina
…?

-Ti sono piaciuti…?
Ci troviamo in un posto privilegiato, una specie di soppalco galleria: in alto.
Annachiara (una sola parola con la c minuscola) è inginocchiata sul sedile della poltroncina a fianco alla mia, con i gomiti appoggiati su un muretto che fungendo da parapetto, dà stabilità alla nostra inedita posizione. Il viso è rivolto verso lo schienale a guardare sotto, in platea curiosando chi sta ballando e con chi.
La sala si è da poco vuotata e i nostri occhi sono fissi in direzione del palco più in là, proprio di fronte a noi.

Lei rilassata e apparentemente distaccata, mi guarda con un sorriso lieve, appena abbozzato, gli occhi neri bene aperti, e un’espressione del viso perplessa, incorniciata da rade lentiggini. Per qualche secondo mi fissa gli occhi, le sue labbra naturali senza rossetto restano chiuse. Pur senza dire una parola, mi sta rispondendo. Come me non sa che dire di questa aperture dei Demoliendo Tangos.

Capplegnami_Baires_Demoliendo

Demoliendo Tangos

“Come il faut”, il brano scelto da questi due giovani esegeti della musica di Buenos Aires, è suonato e interpretato senza melodia. L’arrangiamento, privato dell’anima passionale tipica della terra da cui provengono, è crudo.

Così i porteños definivano, ai tempi della grande crisi Argentina del duemila, una gallina inconsapevole della sorte, che attraversando la strada, l’avrebbe attesa sul marciapiede opposto: non viva, bensì ancora…cruda.

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In partenza, di nuovo…

Capplegnami_Baires_Baires

21.0 – Ripartire – cambio di prospettiva – gente di Baires – seconda casa.

Quando avrò imparato a ballare il tango, ti lascerai invitare?
A quell’epoca i miei pronipoti non mi permetteranno di uscire la sera.

È trascorso un anno. Presto sarà ora di ripartire e ritornare. Per la seconda o la terza volta…, non fa differenza. Amedeo ha già preso on line il biglietto. Ho deciso: torno a Baires con lui. Anche stavolta. Dopo un attimo di indugio anche il mio ticket Iberia è acquistato.

Perché ripartire? Perché Baires è rimasta nel cuore. Per questo è più forte il sentimento di un ritorno piuttosto che quello di una partenza. Se qualcuno me l’avesse predetto, non gli avrei prestato attenzione.

Non un semplice cambio di idee. Il dolore dello stare lontano da casa ha smesso di essere all’ordine del giorno. Una parte di convinzioni che a lungo andare mi ero fatto, hanno cessato di ardere. Il loro fuoco si è spento, sono state accantonate, messe in un angolo, obsolete, esaurite. La nostra storia è una sequela di questi esempi: si chiamano sostituzioni.

Molti pezzi di me hanno fatto la stessa fine delle audio cassette all’avvento dei cd: pur ancora funzionanti, depositate in cantina dentro una scatola e dimenticate sui ripiani bassi delle scaffalature, in attesa che un’acqua alta qualsiasi se le portasse via, facendo per noi quello che non abbiamo avuto il coraggio di fare.

Capplegnami_Baires_Obelisco

Mancano poche settimane. Devo sbrigarmi con le ultime cose. Questa volta non è solo il tango a farmi andare: c’è altro. C’è Baires e i suoi porteños. Impossibile dimenticarli, impossibile starne lontani. È una nostalgia al contrario.

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Silencio vs Beltango 0-1

17.1 – Dove vai?! – piazza delle erbe – la gente una moltitudine – tandas perfette – di spalle a un metro – un ago nel pagliaio – capelli chiari – conosco e mi conosce – il ritardo è bello – Silencio – La Cumparsita – festa popolare – calamari e sauvignon – quale confine? – Beltango – Edmundo Rivero – cerchio e quadrato.

Sono venuta per ballare, mi inviti?

Certo…

Cosa aspetti…?!

Seduto con l’asciugamano in mano, tolgo il sudore dalla tempia destra. Mi passa davanti, di traverso, come un fulmine: – dove vai?! Non fa a tempo a voltarsi, sono già in piedi a dieci centimetri. L’abbraccio è automatico. Mi parla in fretta, poche parole una di seguito all’altra, senza pause, per non disturbare il tango appena iniziato: – è la prima volta che ricevo un invito con un “dove vai?!”. Anche per me – rispondo.

La serata è straordinaria. Piazza delle erbe, tappezzata di tavole quasi lisce, sembra la performance di qualche artista postmoderno, di quelli che ricoprono monumenti e interi edifici per celarli agli occhi di ogni giorno, che di solito non si accorgono e che hanno bisogno che qualcuno gli nasconda le cose per cominciare a vedere.

La gente, una moltitudine, fa il resto. Due distinti gruppi: quelli venuti per ballare tango: mai visti così tanti in uno stesso posto, nella stessa serata. Quattro cinquecento, forse più, da non credere. Solo a Baires succede. Mai come in questa occasione il filo con la gente del porto, i porteños, è così diretto, ed il legame così stretto.

Gli altri, gli spettatori sono innumerevoli: hanno riempito il perimetro della piazza. Non c’è spazio, non si passa. Guardano, ascoltano, incuriositi, stupiti, forse con un po’ di bonaria invidia per non essere, anche loro, fra gli adepti delle salidas.

Questa volta la scelta dei brani per le tandas è azzeccata. Tutti i pezzi si fanno ballare senza patemi. C’è parecchio spazio a disposizione e vorrei chiudere gli occhi come fanno le mujeres. Fortunate loro. Li socchiudo a tratti di più non posso, devo guidare. Quando provo questa voglia non può che essere grazie alla musica. Playlist perfetta. Bravi, non sempre lo sono. Questa sera i pieni voti sono meritati.

Più tardi ci sarà la musica che vive: i vecchi brani suonati come allora da porteños autentici e respiranti: l’Orquesta Tipica Silencio direttamente dal Rio De La Plata.

Le sono di spalle a poco più di un metro, mi giro, è di spalle sta parlando. Aspetto che finisca. Un attimo, si volta. Mi bastano due parole – ciao balliamo? Non c’è risposta, è superflua. Balliamo. In modo semplice, pulito, lineare, elementare. Né una sbavatura, né alcuna fatica, riesce a intuire e sentire la mia guida un millesimo prima che accada. Nessun muscolo si frappone. A chi ha fortuna succede una volta su cento. Dopo due tandas a malincuore ringrazio.

Invano vado in cerca di una giovane madre, una delle poche che sanno tenere il braccio sinistro appena sotto il collo dell’uomo. È come cercare un ago nel pagliaio. Sono tutte in bianco. Facilita la ricerca. Ce ne sono troppe. Desisto.

Mi sposto, trovo un posto dove riposare. Mi sento rincorso, guardo, eccoti. Una donna conosciuta durante l’estate. Bionda con i capelli molto chiari ed il corpo disegnato. Stiamo già ballando. Spesso il suo sguardo è triste, forse perché incompreso. È leggera come una piuma. Non posso fare nulla se non ballare e farla ballare al meglio di quanto io possa. Devo salutarla senza poterle promettere un’altra tanda più in là.

Sto cercando l’unica donna che su questa piazza mi conosce e conosco. Anzi mi conosceva e conoscevo. Devo ballare con lei per sapere se ne siamo ancora capaci. Domani in programma un breve espatrio sulla costa. Con un gruppo di nuovi amici dovremmo mostrare alla gente della festa di paese come si può, senza strafare, ballare il tango.

Finalmente la becco. È appena arrivata. In ritardo come sempre, basta non farci caso. Il ritardo è spesso causa di malumore. Credo sia sbagliato. Il ritardo è bello. Non c’è nulla che su questo pianeta non possa non attendere. Balliamo. Facilissimo, tutto torna. Non abbiamo dimenticato.

Ora c’è la musica che aspettavamo. Quella vera. Il palco si è animato, c’è l’Orquesta Tipica Silencio. Sono in otto: Argentina, Uruguay e un po’ di Europa. Suonano, virtuosi, sono bravi, ma… potrei sbagliarmi, suonano per se stessi e per il numeroso pubblico che li applaude.

Non suonano per chi balla. Gli arrangiamenti che utilizzano non aiutano a ballare, tutt’altro. Sono vacui senza una ritmica che faccia da guida, che segni il percorso alle coppie in pedana, sono difficili, inconcludenti. Storpiano i classici, sostituendo le sonorità famigliari con delle iperboli musicali che fungono e fanno da sfondo. Tutto qui.

Chi balla si deve arrangiare, deve inventare di sana pianta, non facile. Alla fine mi devo in parte ricredere. Eseguono La Cumparsita in modo magistrale. I brividi alla pelle arrivano. È il segno che aspettavo. Da rivedere e risentire senza fretta.

Ritornano le tandas digitali. Si riballa alla grande con passione e leggerezza. Il campanile alle spalle del palco detta le ore. La serata termina. Grande evento.

È già domani. Il tango sul palco con gli amici, guardati a vista da ottocento persone applaudenti, è stata una delle cose mas divertenti dell’estate. Una festa popolare e genuina come le sagre e le fiere di “una volta”. Bello da ripetere.

Dopo i calamari fritti e sauvignon sfuso e profumato a prezzo antico, di nuovo in milonga nella sala accanto, a due passi dal confine. Quale confine? C’è ancora un confine?

Dentro, la prima cosa che si nota con piacere è il pavimento in legno vero con i segni di centinaia di persone che lo hanno calpestato. Massello da venti millimetri perfetto per ballare. Il contorno infonde un senso di familiarità, di cose fatte in casa.

Il clima è regolato. Si sta bene. Non si suda e non fa freddo. L’acustica è molto buona, non c’è riverbero e considerate alcune recenti esperienze, non è cosa da poco. Un bel posto sembra una milonga di barrio di quelle che si trovano a Baires lontano dal centro.

Abbiamo fortuna. Questa sera a suonare en vivo ci sarà uno dei gruppi musicali di tango più noti e apprezzati in assoluto. I componenti sono giovani serbi, vengono da Belgrado. Sono cresciuti a ridosso dell’ultima guerra d’Europa. Si fanno chiamare: Beltango. Sono fra i pochissimi non argentini ad essere regolarmente invitati a suonare durante i grandi eventi di tango a Baires.

Prima di ascoltarli qualche tanda di riscaldamento che il musicalizador sceglie con maestria e coraggio. Ci fa ascoltare quattro brani di fila cantati da Edmundo Rivero, grandissimo cantante, mai, dico mai, sentito in milonga. La sua voce per quanto unica e rassicurante è ritenuta cacofonica, e la musica che accompagna non può che soccombere. E invece no. Sapendo scegliere si può ballare anche Rivero. Bene.

È il momento di Beltango. Attaccano. Bravissimi. Calmi senza scomporsi suonano ispirati. Maestri puri. Danno sia a chi ascolta che a chi balla tutto ciò che aiuta a stare meglio. I brani più noti sono interpretati con grande originalità e grande attenzione alla tradizione. Nelle loro mani e nei loro spartiti quadrato e cerchio si fondono.

Che culo essere qui stasera.

Link delle foto:  Antonio Volpe – Bianco e nero – @fabrice gallina Friuli Venezia Giulia Turismo

Un buon tango? Illegal…ovviamente…

16.0 – Diffidenza – conoscenza minimale – memorizzare i lineamenti – cambio! – divulgatori di passi – acqua calda – tam tam digitale.

– Te pol meter su qualcosa de fresco?
…
-Tipo un’orata appena pescata?

Il principale ostacolo da superare per ballare un buon tango è costituito dalla diffidenza: reciproca di entrambi, o univoca di uno solo dei due possibili partners. Concedersi all’abbraccio rilassati e spensierati non è per nulla facile e non è da tutti.

L’unica cosa da fare sarebbe quella di concentrarsi sulla musica da ascoltare e sul sentire il corpo di chi sta ballando con noi, mettendo in campo tutta la sensibilità di cui, chi più chi meno, disponiamo. Ritrosia, timori ancestrali, ricordi sfumati di tabù di ogni tipo precludono in una buona metà dei casi la piena riuscita di un tango.

Un rimedio bastevole per superare l’impasse può essere una conoscenza minimale dell’altra/altro, quanto basta per riconoscerne i connotati e considerare quella persona non più un’estranea. Quando due persone riescono ad elaborare e scambiarsi questo embrione di confidenza, la soddisfazione, di aver ballato un buon tango è pressoché garantita. In genere alcun altro approfondimento è richiesto per ballare.

A Baires le milongas sono molto frequentate da turisti provenienti da tutte le parti della terra. L’esperienza dei porteños ha fatto si che il gap della scontata diffidenza fra tanti aspiranti ballerini cosmopoliti sia stato risolto con grande sagacia: furbizia e buon senso all’unisono.

La trovata è stata quella di prevedere sempre un’ora e mezza di classe prima dell’inizio della milonga. Fin qui nulla di ché. La vera furbata degli insegnanti porteños è quella di avere reso pressoché obbligatorio il cambio di coppia dopo ogni brano.

Durante questa lezione i numerosi allievi imparano a riconoscersi dall’aspetto, memorizzando i lineamenti di ciascuno, e considerando gli altri partecipanti dei consimili. Dopo un’ora e mezza di questo tirocinio per annichilire sospetti e mancanza di fiducia, tangueras y tangueros di ogni parte del pianeta saranno pronti a trascorrere una serata di tango in tranquillità senza apprensioni e titubanze varie. Salvo eccezioni, che non contano mai.

Qualcosa del genere ha iniziato a diffondersi anche da noi: le chiamano lezioni gratuite o pratiche guidate prima della milonga. L’efficacia è dubbia, il metodo guida è carente. I maestri nostrani tralasciano di chiamare il cambio alla fine del brano, dimenticando di fatto il dettaglio più importante: facilitare ed agevolare la interazione dei presenti. Che dovrebbe essere l’unico fine di questi momenti, dove di certo non si impara a ballare tango, che si apprende esclusivamente frequentando i corsi e le lezioni ad hoc nelle scuole.

Un vero peccato che i nostri docenti, restando testardamente imbrigliati nel loro ruolo di divulgatori di passi e sequenze, siano così poco accorti da non aver capito l’importanza e la necessità di un buon livello di comunicativa fra gli aficionados di tango.

L’acqua calda è stata invece scoperta e adottata con successo e grande seguito dai volontari del cosiddetto Tango Illegal, quello che si balla spontaneamente nelle piazze e nelle strade delle città. Il passaparola ed il tam tam digitale fanno da gazzetta. Ritrovarsi nello stesso luogo alla stessa ora per ballare liberamente è la cosa più naturale di questo mondo.

Gli animatori illuminati, cuore e passione di questi happenings, hanno scelto come unica regola non scritta propria quella di “cambiare coppia” ad ogni tango.

I vantaggi sono enormi: il turnover permette a tutte le donne, anche se in soprannumero, di ballare più assiduamente, la socializzazione è oltremodo facilitata, ballare con diverse persone aiuta a capirsi e a capire meglio il proprio tango.

Alla fine della serata bevande e leccornie fatte in casa in quantità da caserma completano l’evento in festa spontanea indimenticabile. Di più e meglio non si può. Peccato per l’inverno, sperando che arrivi più tardi possibile.

Link: Le foto sono di Fulvio HaleTango illegales trieste f.v.g.

Un tango alla volta…

Nome: El Huracan
Genere: Tango
Anno: 1932
Compositore: Osvaldo y Edgardo Donato
Orquesta: Juan D’Arienzo
Registrazione: 1944
Ballano: Leonardo Oviedo y partner – 2007

Leonardo Oviedo ballerino di strada, maestro di tango, attore, cantante e animatore culturale di Baires, è stato uno dei miei migliori, insegnanti. Prima o poi racconterò di lui, ma questa è un’altra storia…

Le amazzoni del tango

15.2 – Uomini schizzati – donne alla milonga – donne e libertà – scelta di vita – tango pilates – tacchi a spillo – tortura e stoccafissi – La Boca – ochos più lenti?

Balli?
Sono in ferie… No!

…Il lato oscuro e scoraggiante della donna milonguera non è cosa di poco conto. Nulla da invidiare rispetto ai comportamenti schizzati ed altalenanti del suo partner.

Essa – non tutte – riesce, con disarmante ed arcigna facilità, a mettere sul piatto della coppia tanguera, livelli di incapacità incommensurabile. La sua colpa “originale” è quella di ignorare sistematicamente il divieto di ballare in autonomia.

Fregarsene di ascoltare con attenzione e sensibilità continua, musica e marca del compagno, è più di un hobby: è una scelta di vita cui non sa rinunciare. Qualche esempio:


- capita che qualora la donna intuisca di essere guidata ad un ocho, interrompa di colpo l’ascolto. Sicura di conoscere molto bene quella consueta e particolare marca, decide di approfittarne per prendersi un break di libertà.
Quindi rinuncia a mettere in relazione il tempo musicale del brano con le indicazioni della marca, e convinta com’è, in quell’attimo, di essere auto-sufficiente, inizia ad anelare una serie di movimenti, che col tango hanno ben poco da spartire, e che al massimo, esagerando con l’immaginazione, potrebbero essere accostati ad una sequenza di Pilates o altro;


- può andare anche peggio quando la donna, in caso di momentaneo bisogno, per dare più saldezza al suo equilibrio, non ne vuole sapere di ricorrere al sicuro appoggio costituito dalla spalla destra del suo partner.
Al contrario per compensare l’instabilità causata dai lunghi tacchi a spillo, mantiene rigido e disteso il suo braccio destro, come fosse di legno, alla stregua di un timone.
All’uomo non resta che rassegnarsi a saltare la tanda successiva per cercare di ripristinare l’elasticità perduta al suo braccio sinistro rimasto completamente anchilosato e dolorante;

– se poi, più o meno esplicitamente, l’uomo dovesse avere la malaugurata idea di parlare durante l’esecuzione del brano, e farle osservare che si è appena girata di scatto, interrompendo bruscamente la sua intenzione di guidarla in un passo a lato, ella, con voce disincantata ribatte:
– cosa avrei dovuto fare? – La risposta è ovvia: – nulla, se non attendere almeno un millesimo di secondo. Troppo? – Ora quasi seccata: – questa poi, mi mancava di sentirla.
Da quell’istante la tanda si trasforma in una tortura ad orologeria ed entrambi, duri come stoccafissi, pregano e bramano che il musicalizador abbia optato per un gruppo di tre e non quattro brani di fila.

Stamani a Baires il sole sembra più giallo del solito. È appena apparso da dietro il tetto della casa della nostra vicina. L’aria è già tiepida, sono appena le otto e sono sveglio da un’ora e mezza. Ho messo su il caffè, in attesa del ritorno di Amedeo, che ha attraversato la strada per andare dalla boliviana, a comperare le arance per la spremuta del mattino.

Sono contento. Ho convinto il mio amico che oggi sarebbe stata la giornata giusta per andare a La Boca il barrio, che fra otto e novecento, è stato l’approdo degli immigranti in terra argentina.

La Bialetti portata dall’Italia borbotta, spengo il gas. Verso, mi siedo, sorseggio. Mentre mi lamento con me stesso per essermi scottato labbra e palato con il caffè incandescente, cerco di distrarmi ricordando di un episodio di qualche tempo fa.

Durante una pratica parlai alla donna con cui stavo ballando, per pregarla di rallentare il ritmo degli ocho atras, la cui frequenza era del tutto avulsa dal compas di quel tango, e dai miei infruttuosi tentativi di guidarla. Con candore extraterrestre mi disse – ma tu sei uno di quelli che vogliono gli “otto” più lenti? –

Con gli occhi dilatati dovetti subito chinarmi per raccogliere i coglioni che mi si erano appena schiantati sul pavimento. Lasciai perdere. Ho continuato a ballare alla meno peggio e alla fine del brano mi sono scolato una birra piccola tutta d’un fiato (segue).

Link: Spontanea e illegal 15.0 – Los profesores 15.1 – La Boca 15.3 – Caminito 15.4 – Parrilla y choripan 15.5 – Dentro La Boca 15.6

Un tango alla volta…

Nome: Emancipacion
Genere: Tango
Anno: 1912 ?
Compositore: Alfredo Bevilacqua
Orquesta:
Osvaldo pugliese
Registrazione: 1955
Ballano: Murat & Michelle Erdemsel – 2010

Los profesores

15.1 – Los profesores – ignoranza e insicurezza – i punti chiave – niente aiuto – maestri e allievi – uomini alla milonga – lezioni di tango.

Se vuoi ti faccio un cabeceo?
Ho già cenato…

Il tango nelle milongas di BA è fatto esclusivamente dei suoi elementi distintivi e fondamentali. Marca, ascolto, camminata, ochos atras e adelante, abbraccio, baricentro asse.

Tutte cose cui i maestri nostrani, – salvo rare eccezioni – dedicano pochissimo tempo, massimo qualche settimana, lasciando gli aspiranti tangueros, di ambo i sessi, nello sconforto dell’ignoranza più profonda e dell’insicurezza più frustante.

Capire i maestri per queste scelte è plausibile, giustificarli tutt’altro. In genere sarebbero – in senso lato ed ampiamente figurato – da bastonare.

Si possono comprendere perché avendo fatto del tango il proprio mestiere e la fonte del proprio reddito per campare, non potrebbe essere altrimenti. Lo schema adottato dal maestro tipo è semplice quanto efficace. In se nulla di originale, essendo mutuato da collaudate esperienze in altri settori. I punti chiave che frullano in ordine di importanza nella loro mente sono:

– primo, non perdere – possibilmente mai – gli allievi;
– secondo, fare in modo che non si scoraggino di fronte alle difficoltà né tantomeno si annoino, ancora possibilmente mai;
– terzo, sedurli ed incuriosirli con l’attraente tango dei passi, possibilmente subito;
– quarto, metterli in grado di “ballare”, possibilmente presto;
– quinto, tenerseli in esclusiva, possibilmente per sempre, o comunque per un bel po’ di anni;
– sesto, insegnare con dedizione e trasporto le basi fondamentali del tango. Trattandosi di un’opzione ritenuta non necessaria, e mancando del tutto l’empatia fra insegnante e allievo, quest’ultimo punto è raramente preso in considerazione.

Sono linee guida sedimentate e ispirano il comportamento dell’insegnante di tango di fronte ad un aspirante che gli si rivolga per chiedere di partecipare ad un corso o a delle lezioni. 
Sta nell’allievo, capire finché ci sia da capire con profitto, e apprendere, finché ci sia da apprendere qualcosa, cui valga la pena.

Qui entra in gioco l’intelligenza, non sempre abbondante fra gli allievi. Il compito non è facile, perché si tende a dare priorità alla convenienza logistica e all’abitudine. In questi frangenti l’allievo è solo, non può contare sull’aiuto di nessuno, men che meno sui consigli dell’insegnante.

Il sistema funziona così ed è tale grazie alla stretta ed (in)consapevole complicità degli allievi, che di norma vorrebbero tutto e subito.

Così facendo, succede che per trattenere gli uomini, – i primi a fuggire dalle difficoltà iniziali – essi vengono scaraventati appena possibile nell’arena della milonga, dove si ritrovano impacciati, insicuri, e stressati, non conoscendo letteralmente l’abc della guida e di come la marca possa essere spontanea, sicura e disinvolta.

Li si nota sudare a dismisura ed arrancare come mentecatti. Non di rado si scagliano con inusitato vigore e veemenza, contro la donna, colpevole, secondo loro, di incomprensione e inettitudine. Ignorando che nel novanta per cento dei casi, la colpa di ciò che non riesce è da attribuirsi a loro stessi uomini.

In queste circostanze l’insegnante gongola, perché sa molto bene, che la donna, facendo leva sull’orgoglio del suo partner, lo convincerà a chiedere nuove ore di costose lezioni, che saranno spese in delucidazioni di ciò che non va, piuttosto che a imparare in profondità i segreti del muoversi a tango (segue).

Link: Spontanea e illegal 15.0 – Le amazzoni del tango 15.2 – La Boca 15.3 – Caminito 15.4 – Parrilla y choripan 15.5 – Dentro La Boca 15.6

Un tango alla volta…

Nome: Clair de lune
Genere: Classica
Anno: 1895
Compositore: Claude Debussy
Orquesta: Ferdinand Lang & Berlin Symphonic Orchestra
Ballano: Juana Sepulveda y Mariano Chicho Frumboli  – 2008

Tango, crocerossine e schiavetti

13.8 – Tango, crocerossine e schiavetti – nemmeno Marx – aria e panorama – insperata autorevolezza – semi schiavitù – accoliti e assistenti – soddisfazione e divertimento – briciole da maestro.

Perché hai rifiutato il mio invito?

Non ricordo.

Ogni scuola di tango ne ha un nutrito drappello. Gli insegnanti non possono farne a meno, ne va del rendiconto annuale dell’associazione che dirigono e presiedono. Della sua consistenza.

Sono i pasdaran del tango, i martiri della logistica, gli assistenti stacanovisti delle ore di practica, i volontari delle serate di milonga. Sono le crocerossine e gli schiavetti del tango.
Autoesclusi per vocazione da ogni movimento per i diritti, nemmeno Marx, nella sua grevità e rozzezza, li avrebbe menzionati fra gli sfruttati dimenticati dalla lotta di classe.

Chi sono costoro? Provengono dalle fila delle allieve e degli allievi delle scuole di tango. Sono dotati di un forte spirito gregario, hanno passione in esubero rispetto alla norma, ignorano del tutto la larghezza di vedute. Il loro universo è circoscritto entro gli ambiti della scuola. Dispongono di una così forte capacità di adattamento, da poter vivere di aria e panorama.

L’unico emolumento è la riconoscenza e l’attenzione che l’insegnante, volente o nolente, è costretto a riservare loro. La finalità di fondo è particolarmente ambita: fare breccia nelle corde del maestro, ricevere la sua disponibilità ad un rapporto più confidenziale, quasi cameratesco, uno status di diritto aggiunto.

Una volta arrivati a tanto, consci di esserci, di avere finalmente il privilegio di un occhio di riguardo, finalmente degni di un atteggiamento preferenziale da parte del maestro, cambiano di aspetto: mutano, in tutto. I quattro arti, plasmati da nuove posture, si muovono con maggiore determinazione e sicurezza, ogni muscolo partecipa e fa la sua parte: sotto la pelle si muove un vulcano. Dismettono imbarazzo e insicurezza bradipesca, assumendo di colpo una insperata autorevolezza.

Da lì in poi la loro vita è destinata a cambiare radicalmente: avranno un ruolo sociale riconosciuto ed apprezzato, da far valere in ogni occasione. Il recinto familiare e lavorativo dentro cui, fino a quel momento, si era cadenzata la loro esistenza non è più un ostacolo, ora lo saltano di slancio alla maniera di un attore, anni fa, durante la pubblicità di un olio. La scuola – il nuovo tempio – diventa luogo sacro da difendere alla stregua dei templari: ad ogni costo.

Il prezzo? Poca cosa: una moderna riproposizione della condizione di semi schiavitù. Nulla di che rispetto all’essere parte effettiva dell’entourage del maestro.

In pratica: compilare e curare il tesseramento degli iscritti, fare da bigliettai incassando le quote di quelli che vengono a ballare, fare la spesa, cucinare e preparare dolci e pietanze da servire nei buffet durante le milongas, con attenzione perché non manchi mai il necessario a soddisfare i ballerini esausti.

E ancora: servire al bar, ramazzare i pavimenti, pulire i cessi, rimettere, alla fine, tavoli e sedie al loro posto. Gestire il guardaroba durante gli eventi. Caricare e scaricare borse, vassoi, padelle e recipienti vari pieni di cibo e bevande facendo la spola dalla propria auto alla dispensa della scuola.

E mettere musica per ore e ore, accuratamente preparata prima a casa, selezionando brani da far ascoltare ai milongueros ed alle milongueras, disposti a prendersi gli insulti mas o meno espliciti di chi non condivide la scelta.

E poi recarsi nei pubblici esercizi, di paese in paese, a volantinare su tavoli e banchi e affiggere manifesti con la reclame della scuola.

Infine ci sono gli accoliti, quelli che volano alto senza possedere ali. Sono gli assistenti. Vorrebbero insegnare, diventare loro stessi maestri. Il loro destino è la gavetta perenne. Dileggiati e biasimati dalla gran parte degli allievi che pagano per un maestro e non per un appassionato seppur volenteroso!

Cosa resta in cambio? Un gesto di gratitudine ed un pubblico ringraziamento fatto periodicamente dal maestro e almeno un agognato ballo ad ogni milonga con lui, il maestro, adorato dalle crocerossine per lui disposte a (quasi) tutto.

Ne vale la pena? Bisognerebbe chiederlo direttamente a questi arruolati a servizio della causa. Certo è che ai maestri va da dio.

La supposizione più in voga è che in effetti ne valga proprio la pena. Basterebbe non prendersi troppo sul serio. Perché al di là dell’impegno costante e pressante, al di là della indubbia fatica e della tensione onnipresenti, la soddisfazione ed il divertimento non mancano.

Sufficienti per escludere ogni ipotesi masochistica o qualsivoglia dipendenza mentale.

Da non sottovalutare le briciole che il maestro distribuisce ai novelli schiavetti con parsimonia da indigente: parole spacciate per consigli e lezioni gratuite che di fatto tali non sono, in quanto utili e finalizzate a far ballare qualche allieva o allievo pagante, senza partner.

Una donna qualsiasi

Gino Severini – Tango Argentino 1913

13.3 – Convenevoli – eccetto il tango – tanda di milongas – lepri suicide – una donna qualsiasi – cortesia interculturale – zero commenti.

Sono venuti a prendermi. Salgo di dietro. Sorpresa: sul sedile posteriore a fianco c’è una donna fra i trenta e i quaranta. Forse. Potrei sbagliarmi. Non è importante. La conosco di vista per averla intravista alcune volte in milonga.

Iniziano i convenevoli, a ripetizione. In auto siamo in quattro. Gli altri tre sono molto più giovani. In loro non rivedo nulla di me a quell’età. Anche cercando a fondo fra le pieghe della memoria, niente che mi accosti in qualche modo a queste tre gentili persone – due femmine e un maschio – che allungano la strada per venire sotto casa a prelevarmi. Eccetto il tango. Mi trovo su questa autovettura perché noi quattro lo balliamo e ci divertiamo a farlo.

Arrivati. C’è poca gente, è presto. L’ideale per fare qualche tanda senza l’intralcio di altre coppie. Prima invito la mia mecenate, fresca quarantenne, che da qualche tempo mi fornisce un passaggio per andare in milonga. Balla bene. Le manca un po’ di esperienza. Prima o poi ci sarà anche quella, il tempo e la predisposizione non le mancano. Prolungo, faccio due tandas. È ora di invitare la donna del sedile posteriore.

Pepito Avellaneda y Suzuki de Souza                El Turco José Brahemcha

Si giustifica con un lieve sorriso di circostanza. Dice di sentirsi disidratata e prima di continuare a ballare vorrebbe attendere il cameriere e ordinare da bere.
Che strano, penso. Lo sa anche lei che il mio è solo un invito di cortesia, una specie di atto dovuto, e che durante la serata non avremmo più ballato assieme. Tanto valeva accettare e togliersi subito il pensiero dalla testa.

Dopo due ore la ritrovo di nuovo in pausa al tavolino. Da ingenuo quale sono, nonostante gli anni suonati, le ripropongo di ballare.
– Scusami, adesso c’è la tanda di milongas. Io non le ballo. – L’ingenuo: – ti guido io non ti preoccupare. – No, grazie. Preferisco di no.

Ballo le milongas con la mia sponsor. Sempre brava: da migliorare l’elica. Nelle pause tra i brani, avendo percepito un mio leggero fastidio, tenta di indulgere per l’amica. Non l’ascolto, anzi ribadisco che due inviti a vuoto in meno di due ore vanno ben oltre il limite dell’umana giustizia e concludo: – non la invito più. – Coglione, mai dire mai!

Jorge Martín Orcaizaguirre Virulazo

Il tempo cambia, sta per piovere. Il musicalizador chiama l’ultima tanda. Fine corsa? Non se ne parla. I tre giovani thirty-forty che mi scorrazzano, decidono di cambiare aria e milonga. Si va da un’altra parte a pochi chilometri: il posto è riparato da un ampio gazebo e si può continuare a ballare finché non staccano la corrente. In macchina frizzi, lazzi e sberleffi. Il navigatore stenta a trovare la strada. Almeno due lepri tentano il suicidio.

– Non so, non ce la faccio a ballarla: la milonga ha un ritmo che non riesco a sentire, mi dispiace per prima.
– Non importa, do not worry – tradotto: chi se ne frega.

Il GPS si riprende, indica la svolta giusta ed in meno di dieci minuti siamo sul posto.
Siamo in aperta campagna. Mancano solo i lupi e gli orsi e non è detto… L’ambiente sembra famigliare. L’aria che tira è da fin de siècle.

Giuseppe Giambuzzi El Tarila y Carmecita Calderon

C’è una coppia di maestri che si esibisce per gli amici. Ballano bene con grande sintonia. Non sono eclatanti, non esagerano in nulla: ballano come chiunque vorrebbe, disponendo di spazio e inclinazione naturale ad imparare. Tango, milonga e vals. Ne fanno tre di fila. Applausi, meritati.

Riprendono le tandas. Vado in bagno. Ritorno. È la volta delle milongas e colei che proprio… non se la sentiva, è là in mezzo a ballare, tranquilla e serena.
Può essere che sia affetta da strabismo mentale? Poco prima in auto si era rimessa alla nostra comprensione per la sua vulnerabile incompatibilità con questo ritmo. Comunque, penso: che figura di merda… io… va be’.

Tanda dopo tanda la stanchezza si fa sentire, stiamo per andarcene. Il pilota si avvicina e per la prima volta mi rivolge la parola: – allora hai ballato con la tua dirimpettaia di sedile? – No, è meglio così. – Perché non la inviti adesso prima di andare via? – No, non ci penso proprio. È al tavolo e sta parlando con quello straniero, no, non mi interessa. –


Luis Lemos Milonguita                                           Ramon Rivera Finito

Sono stanco, vado verso il tavolino a cercare una sedia. L’alemanno appena presentatomi, mi fa i complimenti. Non so per cosa. Ricambio per cortesia interculturale. In tre, seduti, tiriamo a parlare del più e del meno, dall’ovvio al banale passando per lo scontato e ritorno.

È possibile che la pazzia mi possa prendere e rendere scemo in un solo colpo?
Apro la bocca: – allora facciamo questa tanda prima di finire? – Sorriso di cera: – scusami, mi dispiacerebbe lasciarlo solo, è straniero, ci si capisce a stento, resterei a fargli compagnia, sai com’è…? –
Certo che so. Sono io o un altro che ha commesso così tante cazzate nel lasso di qualche ora?

Poco dopo, per strada, rilassati e contenti, ridiamo e scherziamo in attesa ognuno del proprio letto. È molto tardi e non penso ad altro. Quest’altra invece con voce da Biancaneve: – ad un certo punto non sapevo più cosa dire al tedesco. Poco inglese lui, poco inglese io. Non vedevo l’ora che qualcuno venisse a darmi una mano e portarmi via da lì. –

Scendendo dalla macchina li ho salutati e mi sono ripromesso di non fare commenti volgari.

Elías Isaac Alippi y Blanca Podestà

La donna senza età

Gino Severini – Argentine Tango

13.1 – La bella stagione – un ruvido linoleum – due borse – surplus di pazienza – saprà ballare? – da quanto balli? – la donna senza età. 

Scusa!… non vedi dove ti sei seduto!? Ti sei accorto che su questa sedia ci sono due borse!? –
Quella voce stridula proviene da una donna, presumibilmente scontenta della sua vita, seduta sulla sedia a fianco.

È l’inizio della bella stagione in una delle tante milongas estive all’aperto. Di quelle che negli ultimi due, tre anni sono nate e morte con la rapidità dei funghi. Il bar da cui dipende si trova in posizione centrale, appena defilato rispetto agli altri esercizi.

Subito al di là del camminamento sotto i portici, antistante all’ingresso, dispone di un piccolo spiazzo, delimitato sul lato opposto da una fontana di pietra squadrata e moderna. Cioè brutta. Uno strato di ruvido linoleum buttato sul selciato, due ombrelloni, qualche tavolino attorno ed i milongueros della zona sono serviti.

Josè Ovidio Bianquet (Benito Bianchetti) El Cachafaz y Carmencita Calderon

Di solito le sedie non sono in numero sufficiente e chi c’è, si adatta volentieri a sedersi a turno. Quelli che ballano lasciano il posto agli altri che ne approfittano per prendere fiato dalla tanda precedente.

Veloce occhiata in giro, la sedia è occupata da una donna arrivata da poco. Quella di lato è ancora libera. Senza alcun indugio, spinte verso lo schienale due borse appoggiate sul sedile, diventa naturale accomodarsi sul bordo anteriore della seduta avendo cura di non schiacciare alcunché di quelle borse.

Apriti cielo! Ecco repentina arrivare quella frase esclamativa di rimprovero. Una sgridata in piena regola, durante una milonga? Da non credere. E chi sarebbe questa dimenticata dal resto del genere umano?

Antonio Todaro

Gli occhi svoltano di qualche grado verso sinistra: l’aspetto è di una donna matura, come i frutti che cadono a terra dai rami. Il fare potrebbe essere bisbetico, ma è presto per dirlo. Rivolgerle la parola è un obbligo: – non mi sono accorto che la sedia era già occupata… da due borse. Credo di non avere fatto danni. – Non molla: – sarebbe bastata un po’ di attenzione.-

Stranamente questa sera la mia pazienza è in surplus. Non batto ciglio. Anzi incredulo per quello che mi stava succedendo, cerco di minimizzare, e in omaggio alla pace fra i popoli, declino il mio nome. Lei ha un nome altisonante: tutto torna.

La cortina si è appena conclusa. Che faccio? Sono curioso. Saprà anche ballare? La invito. È contenta, per qualche istante sorride. Ha un buon odore. Meno male. Provo a ballare. Sento molta resistenza. È rigida, poco sensibile. Sarà la tensione. Mi impegno. Cerco di fare del mio meglio per guidarla.

Carlos Petroleo

Non riesce ad ascoltare e capire la mia marca. È difficile da condurre. Capita spesso: questo è il tango. Nessun problema. Fra un brano e l’altro un breve scambio di parole: il minimo indispensabile. Vuole restare vigile, non si lascia andare, non si lascia portare. Peccato, non è certo l’ideale per una tanda. Non importa. Dopotutto quattro tanghi classici durano al massimo una dozzina di minuti. Un lampo.

Non è finita: al termine del quarto brano mi chiede un parere sul suo modo di ballare. Imbarazzo. Le dico la verità?: che in effetti ha ampi margini di miglioramento, oppure una bugia qualsiasi? Decido di risponderle con una domanda – non l’avessi mai fatto! – Tu, da quanto balli?

Un anno – risponde impettita (tra l’altro dopo una piccola indagine ho appurato che gli anni sarebbero almeno due). Il viso le diventa spigoloso e senza prendere aria, quasi mangiandosi le parole, aggiunge: – dovresti sapere che ad una donna non si fanno queste domande. È come per l’età, sai benissimo che non si deve mai chiedere. –

Gerardo Portalea

Le mie orecchie hanno sentito tutto, nonostante i rumori di sottofondo e la solita cortina trash. Si può credere ad un orecchio? Al sur si e solamente lì!

Ho di nuovo minimizzato con una smorfia delle labbra, ho dilatato gli occhi e lasciato perdere. L’ho accompagnata alla sua preziosa sedia. Prima di accomiatarmi non ho dato ascolto all’istinto: gentilmente le avrei dovuto consigliare di andare a quel paese a passi lunghi e ben distesi. Invece con voce ammansita le ho suggerito di lavorare sodo su entrambi gli ochos, questi, per lei, emeriti sconosciuti.

Ho dovuto ignorarla per il resto della serata, visto che le altre milongueras con cui ho avuto la fortuna di ballare sono rimaste contente e orgogliose di aver ballato.

Andrea y Javier – parte II

12.4 – Iniziati del tango – stima e attitudine – milonguero e salon – Villa Urquiza – puro tango.

Ballerai ancora con me?

Ti aspetto in cielo.

Oggi giugno 2012. E pensare che qualche anno fa, quando decisero di ballare assieme, ci fu poco entusiasmo attorno a questa nuova coppia di iniziati del tango. Anzi molti fans patirono un lungo periodo di sconforto.

Andrea non era Geraldine, non era così famosa e universalmente conosciuta, e cosa non da poco sembrava non fosse in grado di competere quanto a capacità innata e passionalità, con la precedente partner di Javier.

Si giunse addirittura ad appiopparle di sana pianta un difetto pretestuoso: era bionda. Mai, prima di allora una grande del tango e della tradizione aveva avuto capelli chiari. Eugenia Parrilla, pure bionda, non faceva testo: si era data anima e corpo al tango nuevo.

Inoltre Geraldine era stata fino a quel momento anche la compagna di vita di Javier, Andrea, no. Il loro incontro era esclusivamente professionale, basato sulla reciproca stima e attitudine.

Ci fu un grande e generale scetticismo. Avremmo ancora rivisto Javier – il più talentuoso milonguero dei giorni nostri – in giro per il mondo a stupire appassionati e ad imperversare fra i più cliccati di youtube?

Tutti sbagliarono e presto se ne accorsero. Andrea in poco tempo dimostrò grande sensibilità ed intelligenza. Smise fin da subito di scimmiottare la Rojas. Via via affinò una complicità – indispensabile e quasi mistica – con Javier.

Un nuovo modo di ballare: meno appariscente, meno fine a se stesso, più milonguero, meno spettacolare, meno costruito, meno artificioso, più autentico, più personale.

Javier per primo se ne è giovato. La nuova coppia di partners ha iniziato a ballare in uno stile sempre meno influenzato dalle sirene dello spettacolo. Messe da parte tutte le esagerazioni, e aboliti gli onnipresenti cedimenti all’escenario, è nato un modo di ballare unico: bello, caldo e raffinato.

Nuovo e allo stesso tempo saldamente legato alla tradizione. Un omaggio all’eleganza e al pathos. Una fusione riuscita di milonguero e salon. Nella pratica una perfetta riproposizione di ciò che si può trovare solo nel cenacolo “sacerdotale” di Villa Urquiza, nella sua scuola e fra i suoi maestri.

Niente coreografie sfacciatamente evidenti, niente ginnastica, niente colgadas, niente volcadas: unicamente tango, puro tango.

Tutto questo non c’è più. Andrea nei primi giorni di questo 2012 è morta tragicamente in un incidente d’auto. È stata una grande del tango e Javier le deve tanto, moltissimo.


Andrea y Javier ad un workshop in Copenhagen aprile 2007 – milonga: La Cicatriz – orquesta Juan D’Arienzo – canta Alberto Echagüe.


Andrea y Javier al Club Sunderland Ottobre 2006 – milonga: Mozo guapo – orquesta Ricardo Tanturi – canta Alberto Castillo.

Link: Portacenere a mano 12.0La maestra che non si tinge 12.1Esibizioni 12.2Andrea y Javier 12.3

Gli uomini impalati

11.4 – Niente pensieri – panico da pista – l’uomo nudo – mezze ore e aritmie – longitudine e diniego – gli uomini impalati – inutile fastidio – limitare i danni.

Durante una serata di milonga, chi sa osservare, può notare uno stato di latente insicurezza, tipica di molti milonguerros. Si origina dal fatto che per ballare un tango in modo decente, all’uomo in quei tre minuti, è preclusa la possibilità di pensare.

L’uomo dovendo improvvisare a getto continuo, in relazione alla musica, all’ostacolo delle altre coppie presenti in pista e alla follower con cui sta ballando, non dispone di un tempo utile, ancorché ridotto all’osso, per pensare.

Mancando questo normale supporto intellettivo, l’uomo per evitare il panico da pista – e adesso cosa faccio? – può contare solo sul proprio bagaglio di tecnica, e su una personale percezione che ha della musica. L’esperienza verrà più in là con gli anni.
La capacità di improvvisare è essenzialmente questo e non altro.

Spesso questa condizione di latenza, che molto assomiglia alla fase pre puberale dei giovani maschi, tende ad espandere il raggio d’azione e ad influire pesantemente su altri comportamenti che l’uomo milonguero assume durante una milonga.

In sostanza ogni mossa, azione che l’uomo compie, una volta in milonga, può essere segnata da questa defaillance di capacità. Da questo momento in poi l’uomo è nudo, solo con se stesso. Niente e nessuno lo può aiutare, né la complicità di suoi pari, né tantomeno quella delle donne, intente come sono a cercarsi un passaggio per una tanda.

Ancor più di quando non stia ballando, l’ansia da panico raggiunge l’apice nei momenti preliminari, durante lo studio della ronda in corso, delle presenti non ancora impegnate a ballare, nella valutazione della distanza per entrare nel loro raggio visivo, e degli ostacoli fisici da superare: tavolini, sedie, piccoli gruppi di persone in piedi, ecc.

In questi attimi, che diventano mezze ore, se si perde il turno per invitare la donna giusta, l’aspirante milonguero assume una postura bradipesca facilmente riconoscibile, fatta di tentennamenti, incertezze grullesche, fronte perlata e vari livelli di aritmie.

Prima o poi bisogna ballare e allora scelta la donna da invitare si parte verso l’ignoto. Ci sarebbe il cabeceo questo sconosciuto, farlo è un’arte: il milonguero nostrano nel novantanove per cento dei casi non è un artista.

Recarsi ad invitare una donna, sia che si trovi seduta a qualche metro, che dall’altra parte della sala è un’impresa densa di incognite. È come oltrepassare le colonne d’Ercole ai tempi di Ulisse. Non si sa cosa ci si troverà davanti, non si sa come risponderà.
Il sì non è scontato. Di solito lo è… tranne in alcuni casi…

Il rifiuto è netto, inappellabile, spesso sprezzante nella sua semplicità. Si manifesta con un chiaro segno longitudinale del capo ripetuto una volta e mezza o con il monosillabo pronunciato a denti stretti e bocca socchiusa. In entrambi i casi gli occhi della donna amplificano il diniego per togliere ogni dubbio al senso della sua risposta.

L’uomo resta impalato, senza fiato, sorpreso e smarrito, incazzato e impotente. Assomiglia molto alla prematura interruzione di una aspirazione. Questo è il momento di maggiore frustrazione e sconforto per un milonguero. Un declassamento da uomo di tango a inutile fastidio.

Non c’è scampo agli attimi che seguono. L’imbarazzo si eleva a vertici mai raggiunti. Non si sa che parte prendere per sparire. Fingere noncuranza e leggerezza sarebbe ideale: di fatto impossibile.
Non resta che limitare i danni, respirare, e continuare a vivere. L’istinto di sopravvivenza esiste per essere di aiuto anche in questi casi.

Un errore fatale da non compiere è non resistere alla tentazione – in cerca dell’estremo rimedio – di invitare la donna seduta appresso a quella che si è appena negata. Lo spirito di emulazione è virale: il rischio di un secondo NO in meno di pochi secondi, è una scontata certezza.
È la fine: il mondo intero si è messo di traverso. Fuggire dal pianeta non è ancora possibile. Non restano che ore e ore di sedute di analisi e ore e ore di straordinari per pagarle.

Link: sito del pittore Diego Manuel

Le donne che guardano

11.3 – Fra uomini – incertezza e abbraccio – le donne che guardano – roulette russa inversa – donne radar.

Una cara amica insegnante mi ha detto: – se vuoi essere invitata a ballare: o sei figa o sei brava. Se non sei nessuna delle due o ti appassioni a qualcos’altro o che dio ti aiuti… In ogni modo puoi sempre andare a lezione e imparare…

Senza le donne il tango non esisterebbe.

Il fatto che la leggenda – suffragata da alcune foto – racconti di uomini che in passato, agli inizi, ballavano fra di loro, non significa che facessero tango. Erano prove e gare di abilità. Sfide per primeggiare: al posto del coltello si usavano ganchos, cruces e giros, nothing else. Niente di più di un passatempo fra un turno di lavoro massacrante e l’altro.

Poi sono arrivate loro, le donne, ed è cominciato il tango.

Ad una non piccola parte di esse, abituali frequentatrici degli appuntamenti di tango, capita di passare le serate in milonga, sedute, o in piedi, – se i posti sono esauriti – a guardare…

La causa di ciò sta nel numero: le donne presenti sono sempre più numerose degli uomini.
L’amore per il tango ed il desiderio di ballare sono tali da non poter esserci incertezza in grado di limitare la voglia di ascoltare questa musica meglio ancora ballando avvinte dalla magia di un abbraccio. È un richiamo sirenico cui si possono frapporre solo impedimenti abbastanza gravi da non essere procrastinabili.

Per consuetudine legata alla tradizione, le donne si sottomettono al bizzarro gioco dei ruoli, che le vuole in frustrante attesa di un invito. In genere non potendo altro, accettano senza scomporsi di partecipare a questa specie di roulette russa inversa. A sostenerle in questo azzardo c’è solo un ingenuo ed incrollabile ottimismo, che nelle serate di magra si muta ben presto in mal celata rassegnazione.

Esistono delle esenzioni appannaggio delle più fortunate, che arrivano in coppia o accompagnate da uno o più amici. A queste è riservato il privilegio innanzitutto di ballare, poi di poter farlo con costanza e continuità durante tutta la serata.

Alle altre non resta che sperare e guardare. Lo scopo è sempre il medesimo: farsi notare e possibilmente invitare.

Ogni donna ha un suo personale modo di guardare.

Minimale: il corpo è quasi immobile, la postura della schiena eretta, – c’è la variante a schiena flessa appena chiusa in se stessa – le gambe composte, o sobriamente accavallate, i movimenti del viso ridotti e impercettibili. L’espressione cerca di dissimulare al meglio la sensazione di fastidio, malessere e forse imbarazzo. Il sorriso è statico, bloccato. Lo sguardo è vago, fisso in un’unica direzione: il pavimento, il mucchio, il vuoto.

Ci sono donne che di minimale non hanno nulla e di conseguenza non guardano: scannerizzano.
Il corpo lasciato in libertà, rilassato e comodo, contrasta con gli occhi simili a implacabili radar, che ispezionano instancabilmente il territorio a 180 gradi. Sono loro: le fans della mirada, lanciano strali a destra e manca, dove capita, alla ricerca dell’agognato cabeceo o di un invito, qualunque sia, purché sia.

Altre donne fingono di non guardare: mirano ad attrarre.
Cercano di mettersi in evidenza puntando su un abbigliamento originale o eccentrico fatto di spacchi distrattamente spalancati, su una postura incurante, tutta gambe che si  accavallano fuori norma. Per guardare usano la coda degli occhi.

Una menzione meritano le donne ipercinetiche, mani sempre occupate: dal cellulare, o da un’agendina, da una fotocamera, o da un bicchiere. Fingendo totale disinteresse, il loro guardare è intermittente: gli occhi si alternano a brevi  intervalli cadenzati, dal particolare al generale, dalle proprie mani al resto della sala.

Trascorsa inutilmente la prima ora di osservazione, uno sparuto numero di esse, coraggiose e decise a prendere in mano il proprio destino, passa all’azione. Lasciano la preziosa postazione, fino ad allora difesa con i denti e si dirigono verso un uomo fingendo casualità.
L’approccio può avvenire in modo implicito o esplicito.
Nel primo la donna saluta: – ciao, anche tu qui, come stai? Queste parole sono un codice che tradotto significa: mi inviti a ballare?
Nel secondo la donna tralascia convenevoli e giri di parola e chiede sorridendo di essere invitata.
In entrambi i casi, salvo rari episodi di villania, c’è il lieto fine: si balla e l’insperato abbraccio è conquistato.

C’è un particolare tipo di donna che sa fondere in un solo colpo quattro peculiarità: l’impazienza, la rassegnazione, la capacità di adattamento e la facilità a socializzare.
Stanche di aspettare un invito che non arriva, più o meno a metà serata, rinunciano alla prospettiva di ballare. Non provano disagio nel trovarsi in un posto dove si dovrebbe ballare e loro sono temporaneamente escluse: iniziano, con disinvolta normalità, a scambiarsi impressioni, punti di vista, chiacchiere con una o più vicine di posto.
Il loro motto è: ci saranno altre occasioni …

Link: Foto originali

Duo Ranas en vivo

11.1 – Duo Ranas – basta il pavimento – tradizione e cultura – tango senza compromessi – viatico per il paradiso – acqua e deserto – vero tango.

Lo scorso anno li avevo già visti e ascoltati. Mi erano piaciuti: molto. Non li avevo assimilati. Dimenticati in poco tempo. Qualche giro sul web per saperne di più, cercare un approfondimento, una curiosità. Null’altro.

Lo scorso venerdì sono tornati a Udine. Pablo Schiaffino al pianoforte e Leandro Schnaider al bandoneon si fanno chiamare Ranas. Non ho indagato sull’origine di questo nome. Sono un duo, vengono da Buenos Aires.

Due giovani alla mano, semplici, impacciati, normali con ispirazione autentica fatta di passione, cultura, e virtuosismo. Sanno di essere parte di una tradizione, divenuta cultura universale.

Interagiscono poco con la gente che li aspetta e li osserva. Lo stretto necessario. Sono riservati, forse timidi. La milonga è piena, le sedie non bastano. Il pavimento basta e avanza. È duro. Pare pulito. Dà un vantaggio: ci si può appostare più vicino ai musicisti.

Iniziano. Inizia Schiaffino al piano. Un assolo ricco di forza, complesso, privo di melodia, carico di suoni pesanti, marcati. Nessuno fiata.

Ascoltare questa musica non è semplice, non è da tutti, richiede attenzione, dedizione e amore. Al cospetto di questa musica raffinata, senza compromessi, anche i meno abituati e attrezzati a questo modo di fare tango, – di solito mal disposti a fare qualunque concessione durante una serata di milonga – capitolano in religioso appagamento.

Passano i minuti, Schnaider raccoglie da terra il bandoneon. Schiaffino di tre quarti sembra esausto di faticare in esclusiva: guarda il suo compagno. Arriva un cenno di aria riconoscibile, la nota che tutti attendono. Brevi e diffusi sorrisi. I muscoli delle facce si stendono all’unisono.

Finalmente parte anche il bandoneon, – composto delirio fra i presenti. I due strumenti allentano e permettono alle note di uscire dal labirinto: emerge Libertango. La gente immobile suda e vibra di piacere: brividi su tutto il corpo.

I due giovani porteños sono ispiratissimi, suonano come se dovessero ottenere un viatico per il paradiso. Termina il pezzo introduttivo. Applausi scroscianti come si fa alla fine. Siamo solamente all’inizio. I Ranas sono felici, sorpresi da tanto calore.

Ripartono con un repertorio fatto di tangos, milongas e vals e invitano a ballare. Lo spazio per farlo – dicono – non manca. Hanno ragione. Tutti in piedi, ora lo spazio per la ronda è completely full. Chi balla musica dal vivo sente in modo diverso, si predispone a lasciarsi emozionare senza resistenze.

Schiaffino e Schnaider suonano sia pezzi classici che loro composizioni. L’arrangiamento è molto particolare: i suoni slegati predominano. L’esecuzione è eccellente. Chi balla…, balla, si adatta e continua a ballare. Altro che: – certa musica non si può ballare: si balla eccome!

Pausa di mezz’ora. Ritornano le tande digitali, le cui onde, per quanto i brani siano azzeccati, si infrangono sugli abiti, non penetrano i tessuti, non sfiorano la pelle.

Di nuovo en vivo, di nuovo la gente, timorata, preferisce ascoltare e guardare. Tutti vorrebbero, nessuno balla. È come se mancasse il coraggio di farlo. La pista, un attimo prima brulicante di milongueros, all’improvviso si svuota, si apre come le acque ritirate del deserto.

Finisce il brano. I due, tempo di girare pagina allo spartito, riprendono. Mi alzo e ballo. Dieci, quindici secondi, tutti ballano. La musica penetra, è bella, difficile, strana, cadenzata, contemporanea, classica: vero tango.

All’una e mezza, stanchi, si urla e si applaude per il bis. Altri due brani. I due giovani “abitanti del porto”, sfiniti, hanno dato tutto. Cedono, visto il tifo da stadio, e suonano ancora come dei.

Un pensiero di pena per chi non c’era, per chi non è potuto venire causa altri impegni o altri obblighi.

Link: Duo Ranas