Ida y vuelta

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20.0 – Ida y vuelta – nuvole e corrientes – esmeralda – tango e candombe – altre genti.

Vorrei invitarti a ballare.
E io vorrei che non lo facessi.

Se a Baires abiti a trenta chilometri dal centro, ida y vuelta sono le parole magiche che scandiscono la sequenza dei tuoi spostamenti.
Andata e ritorno detto in castellano, seguito dal nome della destinazione, è la frase che si pronuncia in ogni boleteria, per comperare i biglietti dei vari mezzi di trasporto.

Sembrano i nomi di due donne e invece sono due palle infinite. Un mantra che non ha nulla di mistico, ripetuto ogni giorno, più volte durante la stessa giornata alla fine della fila. Non un’invocazione, bensì una necessità.

Capplegnami_Baires_Ida

Mi è capitato di stare steso a terra su un asciugamano, con a fianco un bicchiere pieno di qualcosa a guardare verso l’alto: con la testa sotto le nuvole e non sulle nuvole come invece si usa dire. I miei Ray-Ban squadrati attutiscono la luce e falsano la prospettiva allo sguardo, appiattendo la distanza.

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Macerie

11.0 – Il giorno del nove – macerie – epoca d’oro – dinosauri – homo Bonaerensis – umanesimo no grazie – fantasmi e peccati.

Vuoi?

Si volentieri, mas tarde, o anche no…

La Gran Buenos Aires è una città ferita: gravemente.

Ferite costitute di macerie, un po’ ovunque: un territorio infiltrato capillarmente da cumuli sparsi di macerie, ammassati con casualità: a strati o a mucchi a forma di cono rovesciato, resti di qualcosa che è stato rimosso, qualcosa che ha funzionato per un ciclo temporale meno lungo di quanto fosse lecito aspettarsi.

Poi ci sono macerie espressione di una condizione: comprendono interi agglomerati di edifici, di indistinta derivazione, la cui verticalità – ancora agganciata alle fondamenta – continua in buona parte a resistere come simulacro, grazie ad una base concettuale, molto solida in fase iniziale, scemata via via successivamente per consunzione.

Non si tratta ancora di rovine, – la vecchiezza non è tale da giustificare questo aulico appellativo – solo normali e grigie macerie, riferite ad un’epoca recente, non lontana e tutt’ora contigua – mi verrebbe da dire, se non suonasse improprio, – in carne e ossa.

Per questo si può affermare con certezza, senza sconfinare nell’azzardo, che si tratta di una città in rovina, consumata in un tempo, credo non lontano, forse cinquanta, cento, anni addietro.

BA possiede infrastrutture originarie di prim’ordine, così come gli edifici.

Ci deve essere stata un’epoca d’oro nel senso autentico del termine. Un periodo lungo abbastanza per fare e costruire ai massimi livelli, tutto e quanto si può ancora osservare. Poi il declino, drastico e rapido – modello dinosauri.

Nessuno ne conosce il motivo. Un tentativo di risposta ci sarebbe, ma nella sua banale ovvietà, risulta sconsolatamente generico e fatalista: la colpa sarebbe dell’uomo di Buenos Aires – Homo Bonaerensis. Prima l’ha progettata e costruita: ricca, bella, e possente. Poi l’ha lasciata alla sola cura del tempo che ancora, inesorabilmente la sta letteralmente sbriciolando.

Un autentico abbandono.

Perché parte di una generazione di essere umani, sentendosi portatrice di umanesimo, è aperta, illuminata e lungimirante, pensa e fa, puntando esclusivamente al bene comune in ogni campo?

Mentre l’altra parte, agisce contrario? – essendo ossessivamente impegnata, con ogni mezzo, a fronteggiare fantasmi e pericoli inventati, inesistenti, costringendo l’intera comunità ad espiare chissà quali peccati.

Questa cancerosa metamorfosi si può notare dai finestrini del treno, che si infila su binari sopraelevati, in mezzo alle case di BA:  la osservo ogni giorno, nel mio viaggio per andare in centro.

Ogni cosa bella e solida sta diventando – è diventata – brutta e precaria, cadente o caduta, causa totale incuria e trascuratezza, mortificando gli occhi mai del tutto indifferenti, di chi guarda. Zero manutenzione.

Link: Lingotti e generali sadomaso 11.2