La Chacarita

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23.1 – corpi senza anima – marmo bianco di Carrara – los otros donde están? – non ne conosco uno – non riesco a ricordare – più giù non si va – deviazione in un ramo secondario – tifosi che omaggiano il defunto – torno tra i vivi.

Balliamo?
Non fa niente se non balleremo…

Secondo viaggio.
Subte per La Chacarita il più grande cimitero di Baires e del Sudamerica, per un saluto da vicino alle spoglie di Osvaldo Pugliese e compagni.
L’entrata principale è in stile aulico. Appena dentro: le tombe monumentali. I cognomi sono in maggioranza di origine italiana. La sensazione è di pace e tranquillità: non scherzo, è proprio così. La vastità del posto, e la quantità di marmo scuro lavorato, influiscono sullo stato d’animo. La morte si vede e si sente.

I viali fra le file di monumenti funerari sono più larghi di quelli di Recoleta. Allungo lo sguardo, trovo una dirittura libera: la vista si perde, i confini di questo immenso recinto di corpi senza anima vanno oltre i miei occhi.

Abbiamo camminato un centinaio di metri: da che parte procedere? A chi chiedere…? A quel signore con la barba grigia e gli occhiali. Sembra gentile e ben disposto. Proviamo. Ci risponde con la sicurezza di chi sa, e con la disponibilità di chi vuole dare una mano: – vi accompagno io.
Sorpresi, acconsentiamo: avremmo preferito muoverci in libertà senza nessuno fra i piedi.

Ci racconta del nonno calabrese arrivato da queste parti nei primi del novecento. Amedeo un po’ ingenuamente gli chiede se è un addetto del cimitero. Certo che no – risponde – faccio l’avvocato e sono qui per fare visita ai miei cari.

Giungiamo ad una esquina: base in marmo bianco di Carrara, numerose targhe, una appiccicata all’altra, statua in bronzo oversize ben oltre la grandezza naturale. Siamo davanti alla tomba di Carlos Gardel, il zorzal di Buenos Aires, uno dei simboli di queste città, colui che contende ad Evita e Messi, il primato di persona più amata dagli argentini.

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Il nostro Virgilio avvocato ci racconta aneddoti e dettagli: molti sono di pubblico dominio. Non importa, siamo contenti, perché è entrato nella parte e la sua voce è suadente e facile da ascoltare e anche da capire. Ci indica con l’indice, la cicca di una sigaretta vera, con il filtro amarillo, presente come vuole la consuetudine, in precario equilibrio fra le enormi dita in bronzo della statua.

E los otros? – Gli chiedo – Donde están?

Ci incamminiamo, il sito delle personalità è parecchio distante. Lasciamo la parte monumentale del cimitero, attraversiamo una zona con tombe di gente comune, non so quanto recenti: c’è solamente una croce scura di legno con un nome e due date, la terra sopra è irregolare, mossa, come fosse vangata o arata. Poi campi verdi per un lungo tratto.

Gli unici a farci compagnia: gli uccelli e i moesquitos che se la godono a dissanguare le braccia di Amedeo arrabbiato con se stesso: – ho messo l’autan solo sulle gambe.

La nostra traversata dura una ventina di minuti, forse più, durante la quale il nostro Virgilio con barba e capelli grigi parla ininterrottamente: capisco il trenta per cento. Questa percentuale aumenta quando Amedeo mi viene in soccorso facendomi da interprete. In fondo il crematorio: il camino sul tetto sta fumando come una ciminiera.

Virgilio ci spiega che i comuni, mai così mortali come in questo luogo, restano sepolti per vent’anni, poi una volta dissotterrati e cremati vengono collocati in loculi minimali nell’immenso spazio catacombale posto su due livelli sotto il prato centrale del cimitero: una sterminata gruviera di ceneri sotto i nostri piedi.

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Arriviamo al recinto de las personalidades. Poeti, scrittori, pittori: non ne conosco uno. Prendo atto della mia ignoranza. Virgilio si sofferma in ognuna di queste tombe raccontandoci di chi si tratta. C’è anche Benito Quinquela Martin il pittore boquense, che nei primi anni cinquanta inventò Caminito e le sue case colorate: quelle delle cartoline. La sua tomba è un Caminito in miniatura.

Più in là Osvaldo Pugliese, il maestro maximo, con la statua in scala uno a uno in bronzo, seduto al pianoforte con la tastiera ricoperta di garofani rossi: veri e freschi. Commovente. Poco prima Julio De Caro e suo fratello: i primi a cambiare la struttura musicale del tango: un buon numero di loro registrazioni sono andate perse o sono di cattiva qualità, una grave perdita. Più in là il lugar di Pichuco Anibal Troilo anche lui in bronzo assieme al suo prezioso bandoneon. Poi leggermente defilato Carlos Di Sarli con la sua lapide double face: ci giri attorno e sei sempre con lui.

Le zanzare imperversano, Amedeo è nervoso e sofferente: le sue braccia sono a pois. Vorrei chiedere a Virgilio di Piazzolla e Canaro: mi manca il coraggio di far soffrire inutilmente il mio amico preferito dai mosquitos.

Prima di andarcene da questo angolo dei famosi, due monumenti sfarzosi, esagerati. Chiedo. Sono le tombe di due mitici presidenti di squadre di calcio: uno il fondatore del River Plate e l’altro mi è passato di testa. Poco male. In questo paese l’amore per il calcio è così smisurato e diffuso che accanto a letterati, musicisti e artisti universali, ci sono anche i presidenti dei football club. Dos pasos e troviamo i resti di alcune glorie locali della pedata. Anche questa è Argentina.

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Mi rivolgo al nostro Virgilio: – vorrei vedere dove è sepolto… cilecca… la memoria mi tira l’ennesimo scherzo. Non riesco a ricordare il nome. Ce l’ho sulla punta della lingua, ma da lì non si schioda. Porca miseria. Mi concentro, mi spremo, niente.

Provo a spiegarmi: – cerco la tomba di un famoso milonguero, deceduto qualche anno fa, che in vita ha sempre accudito e curato le tombe di questo cimitero, campando con offerte e mance dei parenti in visita.

Virgilio è in difficoltà: – no se – mi risponde. Non si perde d’animo, insiste per darmi una mano. Lo seguiamo: nel verde del prato centrale scopriamo una voragine, un enorme buco da cui una larga scalinate porta diritto al centro della terra. Scendiamo senza fretta ne entusiasmo, siamo al primo livello, si scende ancora, sempre dietro al nostro infaticabile mentore.

Ci siamo, più giù non si va. C’è poca luce: quella che filtra dai grandi lati aperti di questa città sotterranea, in parte occlusi dalla vegetazione cresciuta a dismisura. L’aria che si respira è acre, c’è odore di stantio, di umido, di afa, di muffa, di morte. Gocce e rivoli d’acqua filtrano dalla superficie formando pozzanghere sparse: il rumore amplificato dello zampillo è da film horror. In ogni direzione: loculi e ancora loculi, chilometri di loculi. Carrelli ed attrezzi mortuari mezzi abbandonati e ammassati in ogni angolo, ascensori per bare fuori uso. Amedeo si gira verso di me: – dove cazzo ci ha portato?

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Ci arriva l’eco di alcune voci lontane, non c’è luce i neon funzionano a intermittenza, sento la pelle d’oca alle braccia, aumentiamo il passo, c’è un varco sul lato sinistro, rivediamo la luce naturale. Il vociare che sentivamo non appartiene a qualche inquilino recalcitrante: sono due addetti ai lavori, colleghi di colui che stiamo cercando e di cui io continuo a non ricordare il nome. Li interroghiamo, cerco di spiegare di chi si tratta. Si guardano increduli, non sanno, provano con qualche nome a casaccio. No. Nulla. Nessuno sa. È chiaro: ci prendono per dei matti che hanno smarrito la strada del rientro al centro di igiene mentale.

Ce ne andiamo. Camin facendo Virgilio ci propone una deviazione in un ramo secondario di questo labirinto sotterraneo. Di nuovo in penombra, di nuovo i brividi. Dove? – Non è lontano. – Un breve saluto allo zio materno, ospite fisso di questo secondo livello da diversi anni.

Ci infiliamo in corridoi stretti e fuori mano. Non si arriva. Le pareti sono alte almeno cinque sei metri, tappezzate da migliaia di lapidi. Amedeo ha freddo e vuole tornare indietro, ne ha le tasche piene. Mi ricorda sottovoce che siamo in vacanza, non in pellegrinaggio. Ecco ci siamo: è qui. Come avrà fatto a riconoscerla fra questa moltitudine…? Amedeo mi tira da dietro per i calzoni, per un attimo ho pensato che fosse uno dei padroni di casa a darci il benvenuto. Cazzo… mi hai spaventato…!

Sulla lapide c’è lo stemma del Racing, altra squadra di calcio. Eh… si – dice Virgilio – mio zio è stato un grande tifoso. Mi guardo in giro, guardo meglio. Molte lapidi hanno stemmi di squadre di calcio, in diversi casi targhe di associazioni di tifosi che omaggiano il defunto. Qui il calcio ti persegue anche nell’aldilà. Very umbelievable.

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Non è finita. Virgilio non è pago. Insiste per andare in cerca di altri becchini del sottosuolo. Amedeo è livido, è stufo, vuole risalire alla luce del sole. Mi insulta. Meglio i mosquitos che questa puzza irrespirabile. Cambiamo corridoio. In fondo  c’è uno slargo di smistamento. Becchiamo altri due in tuta blu da lavoro in attesa di sistemare i nuovi arrivati a tempo pieno. Virgilio ed io facciamo le stesse domande. Stesse risposte. Nessuno conosce il milonguero fantasma che sto cercando.

Ok desisto, si rinuncia. Finalmente imbocchiamo altre scalinate: risaliamo con gioia sulla terra. Troviamo la forza ed il coraggio per accomiatarci dall’avvocato, in cuor suo non vorrebbe mollarci, desideroso di farci visitare altri settori del cimitero. Io ci starei, Amedeo è irremovibile e lo dimostra con modi insolitamente bruschi: – no grazie… basta morti, basta lapidi, basta zanzare. Io esco, torno tra i vivi, ti aspetto in un bar! Lo seguo salutando gentilmente l’avvocato in visita parenti.

Appena fuori imbocchiamo Corrientes siamo al numero 6400, significa circa sessantaquattro quadras, sei chilometri e quattrocento metri. Dobbiamo arrivare all’esquina con Callao al 1300: cinco kilómetros. Intanto si cammina poi se saremo stanchi prenderemo la subte.

Passano dieci minuti e la mia lingua si soglie lasciando uscire il nome di chi cercavo: Gerardo Portalea. Sarà per un’altra volta. Intanto riposa in pace.

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Link: Due stanze in sei 23.0  – Vals o milonga? 23.2

Un tango alla volta…

Nome: Ensuenos
Genere: Tango
Anno: 1943
Compositore: Luis Brighenti
Orquesta: Carlos Di Sarli
Registrazione: 1943
Ballano: Cristina and Homer Ladas – 2008 (Didactic Tango Class Demo)

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